 | 👉 Intervista a Luca Vit, che presenta ai lettori il libro “La forza (voluta o citata da Dio) che capovolge il destino”
Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “La forza (voluta o citata da Dio) che capovolge il destino”. Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Risposta - Perché, per reagire addosso all’indeterminabile avversità cui io mi ritrovi divinamente obbligato (a fronteggiare), punto dal quale cogliere già la verità incentrata in un corpo fisico sottovalutato però (da papa Gregorio Magno, e, i propri epigoni tuttora in vita), ci vuole una pesantissima forza. Medesima capace, siccome data alla luce fin dalle ultraterrene pronunce divinate in rianimazione e che io stesso ripeta a chiunque fin da allora o da quando ce la feci a evadere da un tale recesso, di tener capovolto addirittura il destino. Cose (leggi prove) volute da Dio, affinché sia la sofferenza massima (anziché no, violando appunto il corso della natura, per mezzo dell’evoluzione cui nemmeno possa rallentare sennò a perdere è l’immortalata storia in sé) a far conoscere la verità unica. Quanto in me ricorra, giacché scaturita da testimonianze autobiografiche, è la semplice quanto impossibile, o, fondamentale verità. Fin dalla marina violenza degli dèi all’abitato privo dei medesimi (tranne il loro re, a dire il vero), mai una volta per questo leggero tale inoppugnabile, come essa facilità.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Risposta - Ammettendo ogni mitologico evo, la realtà in me è il punto cui, cadendo e dagli dèi e passo passo come se ne possa comprendere a fondo il nesso leggendo solo me, si ripresenti di volta in volta sotto la luce di Dio.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Risposta - “La forza (voluta o citata da Dio) che capovolge il destino”. L’ho fatto soprattutto in soccorso di certuni sventurati, gli stessi altrimenti costretti ad arrendersi alla fatale sorte assolutamente diversa dal comune destino ripartito, sufficiente (però) a trarre in inganno ciascun essere libero fino a ritrovarsi da sé al centro del mondo ripetendo finché gli sia concesso dalla seguente di non temere la morte senza volersi mai render conto che il posto da occupare e per la vita e per il decesso sia uno solo. Ne ribadisco l’importanza, niente è più importante di quest’ultima custodita.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “La forza (voluta o citata da Dio) che capovolge il destino” se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Risposta - Taluni e centrali episodi immancabili a conquistare la vita quella genuina, cui dapprincipio non potessi dimostrare mai del tutto a partire dall’erto corpo fisico di essa ovvietà, li devo definire come questioni di vita o morte.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Risposta - Continuando a essere sincero e cioè senza commettere il reato che trascini alle due ultime parole della XI risposta, non ho mai letto un romanzo. Perciò, l’ispirazione da me tratta nasce solo dal mio corpo rimesso in piedi (dopo tantissimo tempo sofferto, sin dall’Aldilà in cui e senza mai bastarmi io non respirassi più coi miei polmoni e ancora per dirne almeno una). È questa la ragione per cui, anziché leggere fantasie delle menti, sia incalzante sondare la personale spontaneità.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Risposta - In assoluto no, io mi affido al puro istinto. Seppure, tra me e “me” (del tempo andato) ci debba poi meditare, anche a lungo andare. Rileggendomi, sorreggendo me, per mare o per terra.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Risposta - Io non conosco genere letterario alcuno, vado avanti esprimendomi come l’anima tratta dall’Aldilà di cui più sopra, o Dio in sé (dacché ne sentii le due seguenti parole), mi sproni a mettere giù parola ciascuna. Siamo solo noi (“cose volute” e leggendoci se ne comprenderà il viscere), gli impensabili artisti prediletti.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Risposta - Io arrivo da lontano, fin da dove non ci fossero mica gli svariati computer diventati per me immancabili (tuttavia) per lasciare traccia scritta, e, pertanto, malgrado per stampare sulle pagine servano gli alberi di madre natura, continuo a preferire la vecchia carta. Quella che, dal proprio sapore, si possa tastare o sfogliare.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Risposta - La contorta stesura del mio libro si è rivelata quanto mai stentata, basti pensare io possa o debba scrivere null’altro che sulla tastiera del computer, a causa dell’incidente stradale di continuo subito dopo l’ultimatum di Platone con: “No alla scrittura” (!), tramite il solo dito indice sinistro. Fin qui o dall’Aldilà in cui sopravviva quest’ultimo filosofo, per farla breve
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “La forza (voluta o citata da Dio) che capovolge il destino” se non lo avesse scritto.
Risposta - Potrei acquistare un tale libro (ma da chi altri, ricercato dal possibile appena, fino all’insopportabile?), date le irripetibili verità solo in esso serbate, poiché tali autobiografiche o tutt’altro che generate dalla complessa o risaputa fantasia utile a distrarre l’essere umano, affinché lo stesso si inganni di non essere così appena o fino all’ultima pagina da sé letta. Tanto, malgrado i cervelli avanzati fino a credere di poter esserci senza il corpo, poi bisogna vivere la realtà avvertita da quest’ultimo.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Risposta - Devo dire che, dopo infiniti sacrifici pure per scrivere, giacché per me non sia mai facile farlo e nemmeno se nel corso degli anni il perseguitato (me) si abitua alle proprie sventurate condizioni d’essere, le quali da ultimo rispondano a Shakespeare, anche se dalla scrittura traggo un eccelso benessere spirituale, attualmente io non ho in mente altre storie da saper narrare. Ciò è la prova per cui la verità solo io porti in luce dall’oltretomba, o da dove mi trovai messo faccia a faccia col demonio tutt’altro che narrato, e neppure dalle regie del terrore, detta sia una soltanto. Per cui, mentire è peccato mortale.
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