 | 👉Intervista a Mauro Prigiobbe, che presenta ai lettori il libro “Il Passo del Cavaliere di Lanicola”
Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Il Passo del Cavaliere di Lanicola”. Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Risposta - Adoro iniziare dalla fine: prima scrivo, poi comprendo, infine trovo il titolo o, meglio, è lui che trova me.
"Il Passo del Cavaliere di Lanicola" non è solo un luogo, ma un attraversamento simbolico: un punto esatto tra memoria e visione, tra realtà e mito. È un interasse poetico, tra spazio che unisce il mondo esterno e il paesaggio interiore. Il transito consentito a personaggi senza tempo, motociclette simboliche, miti rivisitati, revival medievali, voci della natura, della fauna, dell’umanità che danzano assieme tra sogno, realtà e geologia.
I temi ricorrenti? Una geopoetica dell’identità: tra natura e storia, scuola e favola, due ruote e sentimento, matrimonio e amore, toponomastica e coscienza. Un componimento che non pretende di spiegare, ma di suggerire un altrui e più accurata lettura. E forse, tra le sue pagine, potresti scorgere qualcosa che parla anche di te, ti rappresenta, oppure una buona base di partenza per un propositivo dibattito, una spensierata lettura, se non si ha l'intenzione di approfondire... Sta al lettore scoprire come intende affrontare questo suo passo.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Risposta - Direi che la realtà non ha inciso: ha scolpito. La materia di questo libro è la mia vita, i miei affetti, le mie strade, ma tutto è stato riscritto attraverso una lente epica, simbolica, quasi mitologica. Le #poesie nascono da un evento reale, come la nascita del sottordine cavalleresco, simbolo della “società naturale” menzionata nella nostra costituente, che merita sicuramente una rivisitazione moderno culturale nell'attuale società, pensiero condiviso con mia moglie e si dipanano come un viaggio poetico che attraversa motociclette, paesaggi, voci di vicini, presenze di amici che hanno lasciato un segno nel nostro matrimonio. Ogni figura è reale, ma trasfigurata. Ogni luogo esiste, ma è riletto come soglia o totem. La realtà, dunque, non è solo punto di partenza: è anche confine e orizzonte. I temi sociali, dalla diversità di genere alla psicologia dello studente, emergono perché fanno parte del mio quotidiano, ma sono restituiti con una voce che vuole essere insieme personale e universale. Il risultato? Un'autobiografia travestita da racconto epico, dove il vissuto diventa leggenda. Dove chi legge può riconoscere la propria storia dentro la mia, proprio perché è stata riscritta per tutti.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Risposta - È stato “Il Passo del Cavaliere di Lanicola” a trovare me, non io lui. Avevo soltanto frammenti: ricordi, nomi, immagini, storie mai raccontate. Le ho scritte, quasi per istinto. Poi è arrivato lui, il titolo e come una chiave codificata che accende un solo quadro in una strumentazione complessa, ha portato luce, ha dato ordine. Questo #libro è nato così: come attraversamento e testimonianza. Un sentiero inciso nella terra ma anche nella memoria. Ho voluto preservare ciò che rischiava di essere dimenticato:
- la voce assente ma resistente di mio padre, profugo Giuliano, che non perse mai la propria dignità;
- le memorie silenziose degli abitanti locali che, durante la Seconda Guerra Mondiale, si rifugiavano nelle grotte;
- il vicino che tramandava l’arte della potatura degli ulivi con conoscenze ereditate;
- i motociclisti che, con fierezza e coraggio, affrontano le strade, la morte e le sfide del sociale;
- amici che, nonostante la disabilità, riescono ancora oggi a sorprendere, forse più di prima;
- il bisogno di superare il linguaggio patriarcale, verso una voce più equa e inclusiva
- le fonti di reddito degli abitanti del posto, passati dal ghiaccio alle nefaste carbonaie;
- I Sinkhole fenomeni distruttivi e geologici del posto.
E poi, non esaustivo, una collina, con una strada mai battezzata. Esisteva da sempre, ma senza nome. Ora ce l’ha. E forse è lei che ha trovato me, non il contrario. Scrivere, per me, è stato lasciare impronte nitide nel fango prima che la pioggia potesse cancellarle ancora. Ho raccolto ciò che rischiava l’oblio, con la speranza che il lettore da passo, lo renda passaggio, da parola, lo ricordi nella storia.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Il Passo del Cavaliere di Lanicola”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Risposta - A conclusione di questa mia esperienza formativa, se dovessi isolare degli episodi che ricordo con particolare favore, isolerei quello in cui ho potuto ringraziare mia moglie. La nascita di questo libro è intrecciata con la sua presenza e con il suo amore, che mi ha trasformato, con pazienza e luce nella persona che sono. Abbiamo affrontato insieme anche la sua lunga malattia, sopraggiunta all’improvviso, e nonostante i momenti pesanti, non ho potuto farne a meno, le sono stato vicino. La scrittura poetica è stata per me un’evocazione silenziosa: un modo per evadere senza fuggire, per continuare ad esserle accanto anche nell’intimità della creazione. È stato in quel tempo sospeso che ho trovato il coraggio di dedicarmi a studi dimenticati: ricerche toponomastiche, significati nascosti di luoghi che sembravano allinearsi come segni lungo il mio cammino. E poi la stesura: il piacere quasi fisico di buttarsi nella parola e lasciarsi attraversare da lei. Scrivevo poesie fin da ragazzo, le gettavo via regolarmente. Mi divertivo a sabotare versi, ritmi e aspettative, condannandoli a un destino cartaceo già segnato. Ma questa volta no. Questa volta le parole non dovevano più fuggire. Questo libro esiste perché esiste il nostro matrimonio. La condivisione con lei ha dato origine a un “noi” che non poteva più restare invisibile. È questa l’esperienza che ricordo con più favore: quella in cui la vita e la scrittura, per la prima volta, non si sono ignorate. Si sono guardate. E hanno attraversato quel passo simbolico, sopraggiunto per destino o per caso, mano nella mano.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale
Risposta - Le mie fonti di ispirazione? Nessuna esclusa. Nel mio libro non ho elencato semplicemente autori, ma ho condiviso orme: alcune incise dalla lettura, altre scolpite dalla vita. Certo, ci sono scrittori antichi e meno antichi che hanno nutrito i miei studi e accompagnato la stesura delle mie poesie. Ho citato un vocabolario on-line bikers, riflessioni di uno studioso, esperto di cultura delle immagini, Roberto Roda sui revival medievali dei motociclisti contemporanei, e anche personaggi come Bud Spencer, la cui
battaglia per i diritti dei bambini con malattie rare ha lasciato un’impronta che va ben oltre lo schermo. Ma accanto a loro, e forse anche prima, ci sono le fonti più silenziose: la gente comune, quella che mi ha donato storie senza saperlo. Il gruppo motociclistico a cui ho dato il mio contributo ad esempio, prima di dedicarmi alla mia famiglia, i visi incontrati lungo o al di là del “passo”, i dialoghi raccolti nei momenti in cui il dolore chiedeva leggerezza, quelli di persone mancate all'amore dei propri cari, rimasti nella mia memoria e la scrittura diventava così resistenza. Scrivere per me è stato anche questo: cercare un appiglio mentre la paura di perdere mia moglie rendeva ogni parola un’ancora. In quel tempo di stanchezza e vulnerabilità, tutto ciò che avevo imparato ad amare sembrava vacillare. E allora mi sono aggrappato agli studi, ai ricordi, al lettore, immaginando che potesse, magari, intravedere in quel piccolo squarcio la mia verità nascosta e magari trovare conforto dalle mie rime. Tutti mi hanno ispirato. Nessuna o nessuno è stata esclusa o è stato escluso. Perché chi scrive, se è sincera o sincero, sa che l’ispirazione non sceglie l'artista: arriva, e ci abita.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Risposta - Sì, ma sarebbe più giusto dire, anche in questo caso: nessuna esclusa. La mia scrittura nasce da un magma emotivo e culturale che non distingue tra poesia, scienza, archeologia o motori. Tutto ciò che mi ha attraversato nel dolore, nella leggerezza, nella memoria, è confluito in queste pagine. Ho avuto l’onore di una premessa scritta dal Maestro Aletti, che ha citato correttamente Italo Calvino, ricordando che la poesia è anche leggerezza, “un equilibrio tra profondità ed ironia”. E in effetti, in certi momenti difficili, quando la paura di perdere mia moglie si faceva insostenibile, ho scelto parole leggere per non crollare. Rime semplici, quasi infantili, che però nascondevano un’azione magmatica: sotto la superficie, qualcosa bruciava. Ma scrivere così mi ha permesso di restare accanto a lei, senza fuggire. “Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso”, Madre Teresa di Calcutta. Da ragazzo ero un lettore accanito di Gianni Rodari. Forse è anche grazie a lui se oggi riesco a trasformare il dolore in "volo planare". Rodari sapeva che dietro ogni sorriso infantile può nascondersi un terremoto dell’anima. E io, in quelle crepe, ho imparato a scrivere. Non ho mai seguito fedelmente la metrica classica, né mi riconosco nei codici moderni. La mia è una scrittura contaminata: ci sono dentro i motori, la fisica, la filosofia, la gente comune. C’è anche l’arte nascosta nei gesti quotidiani, come quella di Luciano Di Lello, calzolaio italiano emigrato a Parigi, che nel 1904 inventò il primo casco moderno per motociclisti, “l'elmo Luciano”. Un gesto d’amore nato da una tragedia, che oggi protegge milioni di vite. E c’è Nikolaus August Otto, l’ingegnere tedesco che nel 1876 brevettò il primo motore a combustione interna a quattro tempi. Anche loro, a modo loro, sono poeti del gesto tecnico. E poi c’è Lanicola, che nella mia scrittura diventa motocicletta, toponimo, simbolo, soglia. Forse anche lei mi ha trovato, come il titolo. E io, da lì, ho cominciato a scrivere.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Risposta - In realtà, i generi letterari nella mia vita si sono alternati come stagioni. Hanno seguito i momenti, le emozioni, i terremoti dell’anima. Da ragazzo divoravo racconti fantasy e storie futuristiche, attratto da mondi altrui, più vasti, forse più giusti. I classici mi attiravano meno, lo confesso, ma oggi li riscopro con occhi diversi, come si ritrovano vecchi amici mai capiti davvero. La poesia, però, c’è sempre stata. Anche da lettore "imperfetto". Mi affascinava cercare il significato nascosto tra i versi, quello che non si dice ma si lascia intuire. Ho amato i temi del Romanticismo, la forza razionale dell’Illuminismo, ma ho sempre avuto il vizio o la necessità di leggere senza finire, saltando da un testo all’altro. Più ingordo di parole che di trame. I finali felici mi lasciavano perplesso: forse perché la vita, nel frattempo, sembrava riservarmene pochi. È anche per questo che il mio libro non è pesante. Ho cercato di immedesimarmi nel #lettore. Credo che basti poco: una parola scolpita, un passaggio suggerito, un frammento lasciato a metà, perché sia proprio chi legge a completarlo con la sua fantasia. Non volevo spiegare, volevo evocare. In fondo, il Cavaliere che mi rappresenta non è padrone di nulla. Non comanda sulle parole: le accoglie. È un servitore dell’immaginazione, della memoria e dell’Amore. Possiede solo ciò che non si può comprare: gli affetti, i ricordi, e quel poco di conoscenza che prova a mettere a disposizione degli altri. Perché solo così si può restituire senso alla parola: offrendola, con umiltà.
Domanda - Cartaceo o digitale?
Risposta - Non ho vere preferenze: entrambi hanno la loro dignità e il loro momento. Sono una persona pratica, e la mia vita fatta di lavoro a contatto con il pubblico, impegni sociali, familiari, amici e chilometri percorsi, se possibile sempre in moto, non lascia molto spazio a borse, zaini o marsupi. Mi piace portare con me solo l’essenziale: affetti, emozioni e, se possibile, ciò che li rappresenta. In questo senso, la tecnologia non è un ostacolo, ma un alleato. A casa, se posso, mi concedo il lusso di leggere un libro cartaceo, seduto sul divano, magari davanti al camino. Ma, quando il tempo è poco e le mani sono occupate, il libro digitale diventa una finestra pronta ad aprirsi nel palmo della mano, grazie a un semplice telefono. Entrambe le forme sono strumenti validi di lettura: una non esclude l’altra. E in un mondo in cui non tutti possono accedere ai #libri stampati, la tecnologia è spesso un ponte, un passo, un passaggio fondamentale soprattutto per chi convive con disabilità visive. Detto questo, ammetto che aprire le pagine di un libro, cercare il segnalibro, respirarne l’odore e il ritmo, è un rituale che continua ad avere per me qualcosa di sacro. Fa parte del mio piccolo spazio di tranquillità. È cultura, è gesto, è casa.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Risposta - #Scrivere non è stato solo un atto creativo, ma un cammino condiviso. Un "passo" come il titolo insegna, verso me stesso, verso l’altro, verso il ricordo e il possibile. Mi ha tenuto saldo quando la paura di perdere mia moglie rischiava di sgretolare ogni parola che conoscevo. Mi ha concesso di restarle accanto, anche in silenzio. Mi ha offerto rifugio e strumenti: lo studio, la curiosità, il desiderio di capire, dai toponimi alle radici familiari. Mi ha permesso, per la prima volta, di non gettare via ciò che scrivevo. Di lasciare che le parole restassero, servissero allo scopo.
Il libro nasce da tutto questo: dolore e dedizione, leggerezza e ombra, amore e testimonianza, amicizia e sorriso. Oggi, ripensandoci, credo che la scrittura sia stata il mio modo più sincero per restituire senso, per non dimenticare, per rimanere un essere umano.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Il Passo del Cavaliere di Lanicola”, se non lo avesse scritto
Risposta - Perché ogni tanto serve una pausa dalla logica e dalla gravità, e questo libro è un varco sottile: leggero nel passo, ma profondo nella direzione. Lo comprerei per la libertà di lasciarmi attraversare dalla fantasia, per ritrovarmi o anche solo per perdermi tra parole che non mi impongono risposte ma suggeriscono paesaggi. Lo comprerei perché parla anche quando non ha la pretesa di spiegare, perché lascia spazio e non è poco. E poi, a essere onesti: chi non porta dentro di sé un dolore, piccolo o grande che sia, tutti importanti sono e non sente ogni tanto il bisogno di una lettura che non giudica, non pesa, ma accompagna? Lo comprerei per questo: perché nei suoi silenzi e nelle sue immagini, in fondo, ci si può sedere e respirare. E magari anche sorridere, pur con un po’ di malinconia in tasca.
Domanda - Progetti futuri?
Risposta - In realtà è da tempo che rifletto se proseguire su questa strada. La poesia per me non è un mestiere né un mestiere di stile, è un istinto, una voce che si fa sentire nelle ore più inaspettate, tra una notte insonne e un’alba troppo rapida. Non ho mai cercato di inseguire modelli poetici del passato, né mi sento parte di una modernità forzata. Preferisco restare in quella zona franca dove la leggerezza nasconde profondità, dove le parole sembrano semplici ma portano il peso del vissuto. La mia vita è piena: un lavoro che amo e che considero una missione, persone care da proteggere, ritmi che non sempre lasciano spazio all’arte. Eppure continuo a scrivere, come posso, quando posso. Scrivo anche per convivere con i miei limiti, gli acufeni, la pressione, che trasformano il silenzio in un suono costante. Ma forse anche questo è diventato ritmo, quasi musica. La musica, dopotutto, merita parole che la accompagnino, e la poesia mi aiuta a tradurre tutto questo in qualcosa che vive anche al di fuori di me. Mi piacerebbe continuare a pubblicare, sì, anche se resto un poeta in erba. Alcune mie poesie sono già state accolte in antologie, altre riceveranno spazio nei prossimi mesi. Non cerco il podio, non mi interessa essere il primo: mi interessa che ciò che scrivo possa arrivare, parlare, lasciare qualcosa. La poesia non può restare rinchiusa in un cassetto, soprattutto se nasce da un dono che, come credo, viene da più in alto. Ricordo ancora con emozione il Premio San Francesco la solidarietà strumento di Pace del 2021, come il riconoscimento recente dell’Accademia dei Bronzi, di un mio inedito, con la “targa del Presidente con motivazione critica” al Premio Pace in Terra, voci poetiche del XXV Giubileo e soprattutto le persone che hanno lasciato un’impronta nel mio percorso, come l’Architetto ed Ambasciatore della Pace Umberto Puato, mancato troppo presto all'affetto dei suoi cari. È a lui, a chi come lui credeva nel valore umano e culturale della parola, della musica, della comunicazione, nel sociale, che sento di dover molto. Quindi sì: continuerò. Con i miei tempi, la mia voce, e questa voglia costante di condividere ciò che altrimenti rimarrebbe solo mio.
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