 | 👉INTERVISTA A PAOLA BADANAI SCALZOTTO PER “IL DONO DELLA MUSA”
Domanda - Partiamo dal titolo, come mai “Il dono della Musa”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali contenuti in questo volume?
Risposta - “Il dono della Musa” è una silloge di liriche – la seconda, in ordine di pubblicazione – in versi liberi, in edizione bilingue italiano-inglese. In queste poesie ricordo episodi del mio vissuto, rivivo gioie, amarezze e inquietudini del passato e mi interrogo sul senso dell’esistenza terrena. Questa raccolta, come la prima, si apre con l’intenzione – un vero e proprio programma – di praticare la poesia prevalentemente come strumento di indagine intima (“Magica ricerca”) e si chiude con la consapevolezza che tale ricerca, nella misura in cui si cala non solo in piaceri e gioie ma anche in disillusioni e dolori, comporta una certa dose di sofferenza (“Il dono della Musa”, che dà il titolo all’opera). I toni si fanno meno sereni rispetto a “Il senso magico della poesia”: spesso prevale la malinconia o addirittura la cupezza, a motivo del sopraggiungere della mia lunga e penosa malattia.
Il perché del titolo assegnato alla silloge è intuitivo: la Musa è Erato, protettrice della lirica, la poesia del sentimento. Il dono che fa al Poeta è l’ispirazione, quella forza immaginativa che nasce all’improvviso su sollecitazione di uno stimolo esterno, o di un ricordo, o di una fantasia, e spinge alla creazione. Tra i temi figurano quelli presenti già nella mia prima opera; su tutti, l’amara consapevolezza della finitudine dell’uomo e della compresenza di vita e morte nell’esistenza terrena (“Erma bifronte”). Ne compaiono altri, quali: la riflessione sull’impossibilità di raggiungere la felicità (“il sogno della felicità”), l’orrore per il decadimento fisico dovuto all’età avanzata (“Senilità”, “Il silenzio del peana”), il senso di estraneità al contesto sociale e la solitudine (“Il tuo silenzio è il mio”), la determinazione ad essere sempre e solo se stessi (“Resilienza”). La Natura fa spesso da sfondo ai sentimenti; a volte è serena e consolatoria (”Il passero”, “Nella campagna di marzo”, “Al lago d’estate”, “Sulle orme delle anguane”, “L’acero rosso”), altre volte terrifica (“Vento di tempesta”, “Nella faggeta d’inverno”). Non mancano componimenti in cui esprimo la mia idea di poesia e di poeta lirico (oltre a “Magica ricerca”, “Il buio del poeta” e – su tutti – “La mia poesia”).
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Risposta - La realtà è sempre presente nella mia poesia. Trasfigurazione fantastica, dimensione onirica e uso del simbolo – tutti praticati e presenti in modo più consistente in questa raccolta rispetto alla prima – non stravolgono il dato reale rendendolo altro da ciò che è. Credo, infatti, che la cifra della vera poesia, oltre alla musicalità del verso, sia l’autenticità del contenuto.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale. Cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Risposta - In questi componimenti ho messo a nudo le mie fragilità – i tormenti, le inquietudini, le ribellioni e le malinconie – ma anche gli intimi abbandoni, le gioie, la forza d’animo e la resilienza di fronte alle avversità. Sopra ogni altra cosa mi auguro venga compreso che, se ho praticato a lungo la solitudine, è stato non per asocialità, ma per concentrare energie laddove scarseggiavano e per meglio capire e conoscermi, confidando sempre nella possibilità di ritrovare serenità e speranza. La solitudine, che ho rappresentato in più poesie, ha funzionato per me da spazio creativo, rifugio e specchio. Oscar Wilde, in merito a questa inclinazione tipica del temperamento artistico, si espresse così: “Un’anima che non ha mai conosciuto la solitudine non sa nulla della libertà, dell’amore e della bellezza.”
Domanda - A conclusione dell’esperienza formativa che ha partorito “Il dono della Musa”, se dovesse isolare alcuni episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Risposta - Piuttosto che di episodi parlerei di temi intorno ai quali prendono vita le mie poesie, in particolare quelle che si chiudono con una riflessione su ciò che la vita mi ha insegnato. Tra tutti i temi mi sta a cuore ricordare: in “La vita propria dei pensieri” l’appartenenza di ogni pensiero all’umanità e non solo a chi l’ha partorito; in “L’eco del silenzio” il riposo di cui gode lo spirito quando si ama riamati; in “Cuor di roccia” la determinazione ad affrontare le avversità con spirito combattivo e audacia senza corrompere, con questo, gli aspetti più sensibili e creativi della personalità; in “Nella faggeta d’inverno” la difficoltà di vivere l’ultima fase della vita e il timore di una morte che ci raggiunga all’improvviso lasciando il nulla dietro di sé; in “Il volo del falco” l’orrore della fine quando è avvertita come incombente; in “Ad un giovane Poeta” la convinzione che l’arte si possa vivere solo in libertà e solitudine.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Risposta - Avendo compiuto studi umanistici, da sempre sono attratta dai grandi classici. Amo la profondità di pensiero e il ripiegamento nell’intimo di Leopardi, le vivide rappresentazioni di paesaggi e fenomeni naturali di Pascoli e il suo utilizzo del simbolo, il culto della parola di D’Annunzio. Per inclinazione personale apprezzo i Simbolisti francesi dell’Ottocento – Baudelaire e soprattutto Verlaine e Rimbaud. Tante sono le voci poetiche che hanno parlato al mio cuore, suggerito idee, suscitato emozioni; due nomi fra tutti: Emily Dickinson e, più vicina ai nostri giorni, la compianta Maria Luisa Spaziani. Devo dire che mi resta difficile apprezzare un Poeta in toto: mi sento trascinare in una vera e propria beatitudine da un’immagine ben riuscita così potente da spingermi a nuove creazioni o da un verso particolarmente armonioso, indipendentemente da chi ne è l’autore, sia egli poeta di nome e fortuna prestigiosi, o un oscuro ‘apprendista’ quale io sono. Sono altresì convinta che nessuna opera, anche se complessivamente egregia, possa mantenere in ogni sua espressione l’altezza dei propri vertici.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Risposta - Per me il terreno più fertile per l’ispirazione resta la musica. Non poche volte i ricordi e le emozioni contenuti nelle mie poesie sono stati sollecitati dalle canzoni di Lucio Battisti, dalla musica dell’hard rock degli anni Sessanta-Settanta – dei Led Zeppelin in particolare – e dalle composizioni di Richard Wagner. Da sempre utilizzo la musica anche per favorire il rilassamento e la concentrazione. Poesia e musica – ricordiamolo – sono un connubio fin dall’antichità (gli antichi aedi cantavano i loro poemi). Per questo motivo la Musa Erato è raffigurata spesso con una cetra, come sulla copertina di questo libro.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Risposta - Leggo volentieri saggi di letteratura e politica e biografie di personaggi storici. Della letteratura d’evasione, prediligo la narrativa fantastica di atmosfera gotica, che trovo ‘intrigante’, magica. Rimanendo nell’ambito della poesia: non sono attratta dalla cosiddetta ‘poesia impegnata’ centrata sui temi di maggiore attualità. Recentemente mi sembra ci sia stata una vera e propria invasione di componimenti sui temi del covid, del femminicidio e della guerra. Apprezzo la denuncia civile, sia chiaro, ma penso trovi un mezzo espressivo più adeguato nella prosa, sia essa cronaca giornalistica, o narrativa, o saggistica.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Risposta - Riconosco all’e-book i pregi dell’economicità e dell’immediatezza dell’accesso, ma preferisco il libro cartaceo. Il libro tradizionale, oltre a risultare esteticamente più seducente, permette al Lettore l’uso non solo della vista ma anche del tatto e gli consente di focalizzarsi sul testo in maniera maggiormente selettiva ed intenzionale, favorendo la formazione e la memorizzazione delle immagini mentali, la rilettura del testo e la riflessione.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro?
Risposta - Nell’esercizio della scrittura si sono via via rafforzati l’immersione intima nel tema del componimento e l’abbandono fantastico, dando luogo ad un pathos in più casi accentuato. Ho usato particolare attenzione ad accostare ai sostantivi gli aggettivi appropriati, ad usare un lessico tornito, a volte volutamente arcaico in quanto più suggestivo, e una punteggiatura scrupolosa, funzionale a trasmettere il ritmo del respiro, ora calmo e ‘robusto’, ora asciutto, essenziale. La cura della parola sotto il profilo fonetico e la modulazione delle pause interne sono valse ad ottenere un verso il più possibile musicale.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Il dono della Musa”, se non lo avesse scritto.
Risposta - Sarei attratta dai toni romantico-decadenti e dagli accenti gotici di questi componimenti, colti – da lettrice esperta quale sono – sfogliando le pagine del libro prima ancora di leggerlo e consultando i titoli del Sommario. Inoltre sarei curiosa di verificare la resa della traduzione in inglese, lingua di facile e diffuso accesso, tenendo presente che – come insegnò l’ermeneuta tedesco Hans Georg Gadamer – ogni traduzione è innanzitutto una interpretazione del testo originale, non semplice in quanto sono necessari sensibilità e acume per avvicinarsi al mondo sentimentale e culturale dell’Autore.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene un’anticipazione?
Risposta - Sto componendo la terza raccolta di poesie e ho in progetto di cimentarmi nella scrittura di racconti brevi di genere fantastico. Scrivo ciò a cui l’ispirazione mi spinge, in perfetta libertà, fintanto che la Musa mi favorisca. Mi permetta di chiudere questa intervista citando Gabriel Garcia Márquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.
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