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Info sull'Opera
Autore:
Francesco Petrarca
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

XXXVII ( Canzoniere )

di Francesco Petrarca

Si è debile il filo a cui s’attene
la gravosa mia vita,
che s’altri non l’aita,
ella fia tosto di suo corso a riva;
però che dopo l’empia dipartita
che dal dolce mio bene
feci, sol una spene
è stato in fin a qui cagion ch’io viva;
dicendo: - Perché priva
sia de l’amata vista,
mantienti, anima trista:
che sai s’a miglior tempo anco ritorni,
et a più lieti giorni?
O sé ’l perduto ben mai si racquista? -
Questa speranza mi sostenne un tempo;
or vien mancando, e troppo in lei m’attempo.
Il tempo passa, e l’ore son sì pronte
a fornire il viaggio,
ch’assai spazio non aggio
pur a pensar com’io corro a la morte.
A pena spunta in orïente un raggio
di sol, ch’a l’altro monte
de l’adverso orizonte
giunto il vedrai per vie lunghe e distorte. Le vite son sì corte,
sì gravi i corpi e frali
de gli uomini mortali,
che quando io mi ritrovo dal bel viso
cotanto esser diviso,
col desïo non possendo mover l’ali,
poco m’avanza del conforto usato,
né so quant’io mi viva in questo stato.

Ogni loco m’atrista ov’io non veggio
quei begli occhi soavi
che portaron le chiavi
de’ miei dolci pensier, mentre a Dio piacque;
e perché ’l duro essilio più m’aggravi,
s’io dormo, o vado, o seggio,
altro già mai non cheggio,
e ciò ch’i’ vidi dopo lor mi spiacque.
Quante montagne et acque,
quanto mar, quanti fiumi
m’ascondon que’ duo lumi,
che quasi un bel sereno a mezzo ’l die
fêr le tenebre mie,
a ciò che ’l rimembrar più mi consumi,
e quanto era mia vita allor gioiosa
m’insegni la presente aspra e noiosa!

Lasso!, sé ragionando si rinfresca
quel ardente desio
che nacque il giorno ch’io
lassai di me la miglior parte a dietro,
e s’Amor sé ne va per lungo oblio,
chi mi conduce a l’èsca,
onde ’l mio dolor cresca?
e perché pria tacendo non m’impetro?
Certo cristallo o vetro
non mostrò mai di fòre
nascosto altro colore,
che l’alma sconsolata assai non mostri,
più chiari i pensier nostri
e la fera dolcezza ch’è nel core,
per gli occhi, che di sempre pianger vaghi
cercan dì e notte pur ch’i’ glie n’appaghi.

Novo piacer che negli umani ingegni
spesse volte si trova,
d’amar qual cosa nova
più folta schiera di sospiri accoglia!
Et io sono un dì quei che ’l pianger giova;
e par ben ch’io m’ingegni
che di lagrima pregni
sien gli occhi miei sì come ’l cor di doglia;
e perché a cciò m’invoglia
ragionar de’ begli occhi,
né cosa è che mi tocchi,
o sentir mi si faccia così a dentro,
corro spesso e rientro
colà donde più largo il duol trabocchi,
e sien col cor punite ambe le luci,
ch’a la strada d’Amor mi furon duci.

Le trecce d’òr che devrien fare il sole
d’invidia molta ir pieno,
e ’l bel guardo sereno,
ove i raggi d’Amor sì caldi sono
che mi fanno anzi tempo venir meno,
e l’accorte parole,
rade nel mondo o sole,
che mi fêr già di sè cortese dono,
mi son tolte; e perdóno
più lieve ogni altra offesa,
che l’essermi contesa
quella benigna angelica salute,
che ’l mio cor a vertute
destar solea con una voglia accesa:
tal ch’io non penso udir cosa già mai
che mi conforte ad altro ch’a trar guai.

E per pianger ancor con più diletto,
le man bianche sottili
e le braccia gentili,
e gli atti suoi soavemente altèri,
e i dolci sdegni alteramente umìli,
e ’l bel giovenil petto,
tòrre da l’alto intelletto,
mi celan questi luoghi alpestri e feri;
e non so s’io mi speri
vederla anzi ch’io mora;
però ch’ad ora ad ora
s’erge la speme, e poi non sa star ferma;
ma ricadendo afferma
di mai non veder lei che ’l ciel onora,
ov’alberga onestade e cortesia,
e dov’io prego che ’l mio albergo sia.
Canzon, s’al dolce loco
la donna nostra vedi,
credo ben che tu credi
ch’ella ti porgerà la bella mano,
ond’io son sì lontano.
Non la toccar; ma reverente ai piedi
le di’ ch’io sarò là tosto ch’io possa,
o spirto ignudo od uom di carne e d’ossa.
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