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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 2

RISCOPRIRE IL SENSO, TORNARE AL GIOCO, INSOMMA PARLARE DAVVERO di Marco Testi

di Rassegna Stampa

RISCOPRIRE IL SENSO, TORNARE AL GIOCO, INSOMMA PARLARE DAVVERO

La riscoperta del gioco, la scommessa che dietro le parole si nascondano messaggi in bottiglia fatti di altre bottiglie e così fino all’infinito. C’è molto di surrealismo, di scrittura automatica, di apparente non senso, ma solo apparente in queste poesie di Andrea Giuseppe Graziano, raccolte in 'Dei silenziosi bui' (Aletti, Guidonia, pp.64, €.12, prefazione di M. Testi, post-fazione di L. Petricone). C’è qualcosa di più della convinzione. La convinzione mette insieme razionalità e natura, mentre qui c’è molto di originario senso del significato. Ci lamentiamo sempre che le parole tradiscano il significato, che quella nostra frase è stata capita male, questa opacità è alla radice di molti dei nostri mali. E allora perché meravigliarsi se qualcuno come Graziano esplora le potenzialità espressive della parola al di là dei canoni referenziali e pseudo-comunicativi? Queste poesie suggeriscono che ci sono sensi nascosti, forse proprio i sensi perduti del paradiso terrestre, quando la comunicazione non era parola, ma verbo, il verbo che era Dio e presso Dio, il pensiero naturale senza la finzione e senza l’utilità.
Mi sembra che sia questo il centro, se pure ce ne può essere uno, di questa vocazione alla lirica che parla, scrive, cerca il passaggio di nord-ovest attraverso le banchise dei nomi.
Dicevo nell’introduzione che qui c’è il battito di un’esistenza interiorizzata, veduta, pensata, sofferta: case, figli, ospedali, e morte, e speranza, e musica, e comunità, e un senso religioso non legato a schemi preordinati.
So che Graziano sente molto la dimensione religiosa, ma questo non vuol dire che questa sia una poesia religiosa in senso stretto: c’è come si diceva una volta una ricerca, ma questa ricerca sembra divenire le cose che incontra: fiori, stanze, acqua, tavole imbandite. Poesia che gioca ad essere le cose, o che ricerca la parola originaria abolendo quelle ormai troppo usuali per poter essere d’aiuto.
A che serve scrivere poesie? Domanda sbagliata. Ci si dovrebbe chiedere: a chi serve scrivere poesie? Ecco, ci siamo. Serve, a qualcuno serve, altrimenti nessuno le scriverebbe: non fanno guadagnare, anzi costano, e le leggono solo gli amici. Ma è un sevizio profondo quello che essa rende, visto che non si resiste alla tentazione, e si scrive anche sull’elettronica del computer, servendosi di un sistema binario che cozza mortalmente con l’ambiguità programmatica della poesia.
Ecco rovesciate le cose. Se si scrive vuol dire che fa bene, solo che questa utilità non deve essere letta in senso comune e materialistico. Questa di Graziano, ad esempio, è una sorta di terapia di rinominazione del mondo, alla ricerca dei veri nomi, incominciando dall’inizio, dalla sillabazione infantile, dal ritorno al sapore e alla forma nuova, per il bambino, delle parole. C’è un po’ di Pascoli in tutto questo, l’ho già fatto notare nella prefazione. Ma è un Pascoli tutto particolare, che non nomina le piantine e gli alberi con i nomi dei contadini, che gioca con le cose, le reinventa nuove solo nominandole. Nuovo Adamo, che fa apparire le cose pronunciandole con il loro vero nome.
Questo passaggio verso il gusto nuovo delle parole e delle loro associazioni mi sembra il maggior merito di questa raccolta, che non copia da nessuna parte, che non denunzia grossi prestiti lirici, che va per conto proprio senza paura di sembrare fuori tempo. Il verso è spesso breve, coinciso, assertivo, teso all’ascolto e alla nuova pronunziazione del mondo. Quanti nomi vengono alla mente a ciascuno di noi, e per rispetto di tutti evitiamo di pronunciarli, perché non sono nomi di scuola o di esempi da imitare, ma appartenenti ad artisti che hanno in comune una certa sensibilità che va verso la musicalità giocosa, l’accettazione della grande danza delle cose e delle persone.
Ecco, tutto è qui: inutile analizzare, scindere, spiegare, commentare. C’è una unità solo apparentemente separata in poesie, una profonda unità che cerca di scuotere le parole perché rimandino finalmente un suono, e questo suono ci insegni di nuovo a scoprire il mondo.


«Dei silenziosi bui», di Andrea Giuseppe Graziano, Aletti, pp. 64, 12 euro www.alettieditore.it


Articolo apparso integralmente sulla rivista Orizzonti

www.rivistaorizzonti.ent

http://www.rivistaorizzonti.net/puntivendita.htm
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