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CIVICI MUSEI DI TREVISO
Inaugurazione della Sezione Archeologica dei Civici Musei di Treviso in Santa Caterina Vernice per la Stampa: venerdì 29 giugno 2007, ore 12.00 Il 29 giugno apre al pubblico la Sezione Archeologica dei Civici Musei di Treviso. Sarà ospitata dal complesso di Santa Caterina, celebre per conservare il ciclo affrescato delle Storie di Sant’Orsola, capolavoro di Tomaso da Modena. Giunge così a conclusione un complesso lavoro di schedatura, di progettazione scientifica e di allestimento, coordinato e diretto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Veneto Orientale e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto. Il concept grafico ed allestitivo della Sezione è “firmato” da Dinah Casson, l’architetto inglese cui si deve anche il nuovo allestimento delle British Galleries del Victoria and Albert Museum, affiancata nella fase realizzativa da due importanti aziende del settore, quali la Goppion di Milano per l’intero allestimento e la trevigiana Parmasteelisa per gli interni delle vetrine. Due apporti che indicano la scelta delle Soprintendenze e della Direzione dei Civici Musei del Comune di Treviso, di presentare l’importante raccolta archeologica in modo fortemente innovativo, nel rispetto di precisi criteri scientifici e museografici ma anche delle esigenze del nuovo pubblico. Non solo asettica ostensione di oggetti, quindi, ma volontà di presentare e proporre i reperti, o almeno i più significativi di essi, all’interno di contesti che ne facciano immediatamente capire la funzione, che rinviino alla realtà per la quale furono creati, ecc. Insomma un viaggio, assolutamente affascinante ed emotivamente forte, dentro e lungo i 300 mila anni di presenza e di attività umana documentati nel territorio tra le Prealpi, il Piave e il Sile, dai primordi rappresentati dalle selci ritrovate a Pagnano d’Asolo accanto ad una carcassa di mammuth sino alla piena romanizzazione che portò Treviso ma anche Asolo, Montebelluna, Oderzo e Altino a ruolo di importanti centri abitativi e commerciali, passando per l’età del bronzo, del ferro, la civiltà degli antichi Veneti. A rendere ancora più interessante la nuova Sezione – ma forse sarebbe più corretto dire il nuovo Museo Archeologico – è il fatto che in esso saranno presentati anche i più importanti ritrovamenti recenti, frutto di campagne di scavo o di rinvenimenti nel corso di lavori urbani eseguiti in questi anni nel cuore della città di Treviso. Tra le “nuove entrate”, emozioneranno sicuramente i visitatori alcune testimonianze della vita quotidiana a Treviso intorno al mille avanti Cristo, quali l’imponente focolare rettangolare ancora annerito dal fuoco, sul quale si lavoravano vasi e ceramiche, o i grandi bracieri rinvenuti sul pavimento di due diverse abitazioni. Nel nuovo Museo troveranno, naturalmente, una adeguata collocazione anche i reperti più celebri della collezione civica iniziata dall’abate Luigi Bailo nel 1879. Per cinquant’anni, il dotto direttore delle raccolte trevigiane acquisì, e molto più spesso ottenne in dono, oggetti di scavo che, man mano, venivano ritrovati in città e nella Marca. Come quelli da Montebelluna, dove stava venendo alla luce una ricca necropoli della piena età del ferro o dalle cave di ghiaia lungo il Sile che restituivano un numero sorprendente di asce, pugnali, spade, falci, coltelli, dall’età del rame all’età del ferro o, ancora, le testimonianze celtiche da Covolo di Pederobba. Viaggiando attraverso la provincia, contattando proprietari terrieri, parroci e chiunque avesse avuto la ventura di imbattersi in testimonianze di antiche presenze, Bailo riuscì a raccogliere e salvaguardare molte centinaia di reperti. La sua fama di cultore di memorie fece sì che numerosi collezionisti, anche non trevigiani, decidessero di donare o vendere le loro collezioni al suo Museo. Così nelle raccolte sono entrati i bronzi preromani e romani delle collezioni Fautario e Tessari, le terrecotte italiche della raccolta Donà, i reperti centro italici acquisiti da Bludowsky, i materiali opitergini di età romana donati dai Revedin. Materiali, spesso ricchi ed importanti, destinati purtroppo ad una prova difficile: il terribile bombardamento del 1944 su Treviso che colpì anche gli edifici in cui erano conservati i reperti, con conseguenze dirompenti soprattutto sui più fragili, quali i vetri ma anche sui sarcofagi in pietra. Tra i reperti simbolo delle raccolte archeologiche trevigiane sono le celebri spade di bronzo dal fiume Sile. Furono rinvenute, molto numerose, nelle cave aperte tra fine Ottocento e primo Novecento sia lungo il Sile che il Piave. Tramandano una importante consuetudine: quella di deporre queste armi, spesso finemente lavorate, come offerta votiva, singola o collettiva, ai bordi dei due corsi d’acqua. Gli esemplari più antichi risalgono al 1600 a.C ma la consuetudine continuò sino all’età del ferro com’è documentato dal rinvenimento delle pesanti spade “ad antenne”, importate in terra veneta forse da Tarquinia. Dalla necropoli di Montebelluna provengono alcuni capolavori assoluti dell’arte delle situle, ovvero di quei prodotti in lamina di bronzo, di alto livello artistico - principalmente vasi a forma di secchio, situla appunto, coperchi, cinturoni, dischi votivi - diffusa tra Po e Danubio. Si tratta di cinque dischi votivi di raffinata fattura, il più antico dei quali presenta una figura regale, una “dea degli animali” che domina sui lupi, sugli uccelli nonché sugli alberi, una Grande Madre che governa i regni animali e vegetali. I dischi di Montebelluna costituiscono una delle manifestazioni più alte dell’artigianato votivo dei Veneti antichi e sono databili tra la tarda età del ferro e l’età della romanizzazione, ovvero tra il quarto e il secondo secolo avanti Cristo. Ancora da Montebelluna proviene una cista su cui sono raffigurate, a sbalzo o a bulino, una scena nuziale e una scena di aratura, non tanto raffigurazioni di vita quotidiana quanto rappresentazioni che afferiscono al sacro e al mito. La cista apparteneva ad un corredo funerario databile alla piena età del ferro, tra il sesto e il quinto secolo avanti Cristo. L’elenco dei capolavori trevigiani è davvero ampio. Ma ciò che connota maggiormente la nuova Sezione Archeologica è la sua impostazione d’avanguardia: i reperti valgono in sé ma vivono come elementi di un percorso a ritroso nella storia, elementi di una sorta di “macchina del tempo” che consentirà ai visitatori di entrare a far parte delle comunità, piccole e grandi, che hanno scelto questa terra di colline, boschi ed acque per i loro insediamenti. A lato della nuova Sezione Archeologica, il Museo di Santa Caterina proporrà al visitatore anche uno spettacolare sunto delle proprie ricchissime collezioni di pittura e scultura, dai grandi maestri del Romanico e del Gotico, a Tomaso da Modena, Tiziano, Cima, Lotto, Rosalba Carriera, Martini: una sintesi di quella che sarà una delle prossime tappe della riorganizzazione dei musei trevigiani, la Pinacoteca. Orario: dal martedì alla domenica 9 – 12-30, 14.30 – 18. Ingresso: interi: 3 € ridotti 2 €. Per informazioni e prenotazioni: 0422-544864
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