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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

SCRITTORINCARRARA - Recensione del Dott. Adriano Godano alla raccolta di poesie 'Pensieri migranti' di Cinzia Bensi, Aletti Editore.

di Rassegna Stampa

SCRITTORINCARRARA


Recensione del Dott. Adriano Godano alla raccolta di poesie “Pensieri migranti” di Cinzia Bensi, Aletti Editore.

Fin dall’introduzione della prima poesia di questa suggestiva silloge si può intravedere l’essenza di un percorso esistenziale che individua in un viaggio, sorta di peregrinazione interiore alla ricerca di una luce salvifica, il sentimento profondo di una meditazione. E’ una migrazione di pensieri che solcano come uccelli spirituali l’etere cosmico dell’immaginario, riportando al termine del tragitto l’essenza del pensiero scarnificato da ogni orpello retorico, vivida voce della verità più vergine.
Si individuano nelle poesie diverse tematiche, che si fondono in una contrapposizione dialettica di forze, per conseguire la sintesi composita dei nodi non risolti della vita, fra cui una contrapposizione fra l’anelito verso la libertà interiore della persona ed il contrasto di un condizionamento dell’inautenticità della vita.
Per la poetessa un primo imperativo morale consiste nel conseguimento della propria autenticità personale: un “cogito ergo sum” espresso in un contesto emotivo ed affettivo.
Si riscontra, pertanto, un anelito alla purezza, al ripudio degli idoli più ingannevoli in un’osmosi profonda con la natura: natura come fucina di fermenti, di passioni scatenate in ritmi ancestrali e quasi dionisiaci.
E nel contempo sussiste la nostalgia per un mondo perduto; sorta di rimpianto che accomuna alla struggente poesia, che si riscontra nei racconti di Pavese: “La luna e i falò”, “La casa in collina”…
La natura viene interrogata con lo sguardo inquieto di un infante che rinnova il proprio cosmico abbraccio solare, ad accarezzare la luce, in un tripudio di innesti, di vibrazioni paniche, che schiudono i fiori simbolici dalla innocenza. Una natura da proteggere, una madre non contaminata dal male, bensì ancora ancestrale e pulsante di passioni. Ciò esprime il contatto di forti figure che si accampano nel proscenio della storia.
Una nonna stoica che conosce il sapore aspro del dolore ed il senso di una saggezza atavica; i partigiani simboli di fierezza e di ribellione: una natura, quindi, vivificata dall’ideale e dal sacrificio, dallo slancio potente e dalla solidarietà che accomuna nella fratellanza universale.
Cinzia Bensi è in grado di riscattare questi grandi ideali con la forza del ricordo e di un’immaginazione intrisa di sentimenti, di pietà, di commossa compartecipazione a un mondo ormai quasi scomparso, perché assimilato in una globalizzazione, di cui sopravvivono scarne tracce e simboli disperanti, come nella poesia struggente “Ragazza di periferia”.
Tuttavia l’immaginazione prensile, quasi una luce eterea cui abbeverarsi, ha il dono potente di una speranza e di un riscatto, poiché può attingere ai più profondi simboli dell’esistenza.
Un regime diurno dell’immagine, appunto, che scaccia la notte e le ombre inquietanti del non senso, e che decanta la materia con un’alchimia poetica, potendo ricreare la fase dell’albedo, una decantazione della nigredo, che avvolgeva con una calma plumbea ed infera il mondo: quell’inferno della “ombra” in cui sono confinati i sudditi del dolore.
In queste poesie, pensieri che vagano con un ciclo naturalistico, attingendo agli archetipi più profondi, si intravedono immagini che sembrano danzare e che, pur attingendo al pessimismo e talvolta alla disperazione, acquisiscono sempre la forza di una reintegrazione vitale; quasi fosse impossibile una resa al niente ed un oltraggio, un gesto delittuoso, l’abbandono passivo alla depressione od allo sconforto.
Ma la poetessa ha, comunque, attraversato il proprio “inferno” interiore, per scaturire ad una nuova alba di vita, sollecitando delle risposte morali, restituendo all’essere quella dignità ontologica, per cui l’intera creazione è l’espressione di un grande demiurgo.
Le immagini poetiche possono risollevarsi dall’opacità della materia, con l’intento di riplasmare l’essere, tramite un percorso iniziatico, forse steineriano, in cui l’immagine assurge a valore di simbolo di una più profonda verità, occultata dagli infingimenti e gli artifici.
L’infinita leggerezza dell’essere, riprendendo l’opera di un autore famoso, Kundera, porge all’immaginario la levità del volo e della danza di Zaratustra, la sospensione apollinea di un sogno che trasfigura il reale, sulle soglie di un puro desidero di armonia e di riscatto.
Come sosteneva il grande scienziato, nonché epistemologo, Gaston Bachelard nelle sue più significative opere, l’immaginario ha il potere seducente di tradursi in una metafora alchemica, dove la parola poetica possiede l’incanto primigenio della rivelazione, esprimendo le segrete corrispondenze della natura.
Nella poetessa, la metamorfosi tramite una migrazione può sottrarre potere alle tragedie delle guerre e della sopraffazione, all’iniquità della morte. In lucidi istanti, la parola dell’autrice folgora, sigilla con il fuoco il male di vivere. E non si tratta di “momenti perfetti”, gratificazioni soggettive, bensì di un tentativo di riconciliazione degli opposti: il bene ed il male, l’essere e il divenire, suturando lo strappo, la perdita, la ferita esistenziale, aprendo, anzi, un varco sull’imponderabile.
La sua alchimia mentale l’accomuna, a tratti, al poeta Eugenio Montale nella raccolta di “Ossi di seppia” e “Le occasioni”.
Cinzia Bensi ama, dunque, con amore assoluto la natura agreste in cui le piante, le farfalle, i fiori emanano messaggi segreti e possono rappresentare i simboli della fragilità, della fanciullezza da preservare per un mondo migliore.
Così una poesia famosa “Aube”, nell’ illuminazione del poeta francese Arthur Rimbaud, trova riferimento nel contesto magico di un’alba mitica, sulle soglie del mondo, in cui una animazione segreta delle cose suggerisce un significato arcano e terribile, laggiù un fiore dice il proprio nome al poeta ed il poeta accoglie il linguaggio del fiore. E può farlo, unicamente, perché possiede il colore delle vocali: è cioè padrone di un linguaggio universale ed accessibile a tutti i sensi.
Nella poetessa, la metafora del fiore assume molte valenze inespresse ed anch’essa ricerca un linguaggio cifrato dalla creazione. Ella segue il proprio ritmo interiore. Ed il poeta diventa l’ebreo errante, il profugo distaccato dall’eden della terra promessa e che anela, tuttavia, il ricongiungimento in un paese innocente.
Ed ecco l’archetipo del mare che esprime l’anima interiore, l’immensa sorgente che sussiste in ognuno di noi.
Melville sosteneva: “Uomo, tu che cerchi il mare, nel mare ritroverai te stesso”. Il grande poeta francese Charles Baudelaire nell’identificazione con il mare rappresentava uno specchio interiore della propria anima dilacerata nel conflitto fra l’aspirazione al sublime e la perversione del male. Ma nell’autrice il mare esprime una forza incontrastata di un elemento mitico che sovrasta ed annienta, ma anche ricongiunge al proprio grembo.
La poetessa è uno spirito solare, dinamico, che nella stagione dell’estate ritrova il segno possibile di una rigenerazione luminosa; ma altresì un rischio di aridità in quel fuoco immenso e abbagliante che può annientare le radici dell’essere; come in “ Sera d’estate” dove il sacrificio dell’aragosta esprime il potenziamento del narcisismo, di un’abbronzatura che annulla l’autentico colore interiore. La “ragazza di periferia” rivela un conflitto insanabile fra la ricerca agognata di una identità libera dalle maglie del conformismo di una realtà che esalta il culto della maschera da indossare comunque. La ragazza di periferia si trova ai confini del mondo e della propria solitudine, dove il reale è una potenzialità inespressa ed illimitata. Là rispondono al cuore messaggi di spazi vergini di periferie percorse da voci vaganti di fanciulli che gridano la sofferenza di una giovinezza che non decolla ancora, sopraffatta e soffocata dall’indifferenza. Laggiù sussiste lo scempio, l’abbandono di palazzi morti e lo sgomento di un vuoto che aggredisce la sensibilità e costringe alla resa dell’alienazione.
Tuttavia, a conclusione dell’opera, si avverte il bisogno di esprimere una profonda riflessione: che significato assume la libertà nei tempi attuali? Rimane fondamentale l’impegno morale di potere costruire e forgiare un destino di persone consapevoli, libere di esprimere il proprio potenziale interiore o saremo infine costretti ad abdicare alla nostra volontà, avviandoci stancamente come cavalieri inermi, clandestini baldanzosi, ma perennemente in esilio, sconfitti da un mondo codificato da altri?
Questa rimane la scommessa, la domanda di fondo.
Occorre, comunque, non desistere; esiste sempre una forza di riscatto nella fede della parola poetica di Cinzia Bensi.


Adriano Godano

Il Dott. Adriano Godano, laureato in lettere moderne, Dirigente scolastico, ha partecipato in qualità di relatore alle conferenze di letteratura:
C.I.F. di Massa “I poeti del primo Novecento Sibilla Aleramo - Dino Campana”.
C.I.F. di Massa “Alda Merini e Rosa Alberoni”.
Ha pubblicato di diverse raccolte poetiche e fa parte del comitato “Premio Città di Viareggio”.


Carrara, 19 dicembre 2009- Ridotto del Teatro Animosi
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