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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
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'A due passi dal destino' ( Aletti Editore ) di Virginia Bigiarini Recensioni a cura di Raimondo Venturiello, Prof. Nonio Baeri, e D.ssa Giusy Brutti.

di Rassegna Stampa

“A due passi dal destino” di Virginia Bigiarini
Recensione a cura di Raimondo Venturiello


“A due passi dal destino”: ha un suo fascino, tra il misterioso e l’evocativo, il titolo dell’opera narrativa di Virginia Bigiarini che vi presentiamo e che segna il suo esordio editoriale.
Trattandosi di presentazione di opera prima, dire narrativa è poco e troppo generico , è certamente vero che i contenuti di “A due passi dal destino” – cioè la materia prima” usata dall’Autrice per il suo “prodotto” sono autobiografici; ma non basta. Va sottolineata, in proposito, la prima annotazione che, nel prologo al libro, Virginia Bigiarini fa, e che ne prova anche l’onestà intellettuale. Ecco le parole introduttive: “E’ arrivato il momento di mettere ordine, nei pensieri,nei fogli scritti a metà”; e di seguito, più avanti: “nelle sensazioni che cerco di rivivere nella mie mente mille e mille volte, perché uniche, irripetibili di un’età che non c’è più; nelle cose che devo archiviare per sempre e in quelle che non posso portare con me, ma non riesco ad archiviare”.
Abbiamo così la chiave di lettura del libro che, nell’interpretazione autentica datane dall’Autrice di suo pungo, vuole essere una testimonianza: di fatti reali vissuti, di persone conosciute, di momenti sociali e culturali attraversati che, nel bene e nel male, hanno lasciato in lei tracce memoriali ed emozionali più o meno profonde. E’un patrimonio di esperienze di vita, anche interiore, in cui ciascun lettore potrà ritrovare un po’ di sé o analogie con propri vissuti: è nella possibile condivisione il ”valore aggiunto” di quel patrimonio e lo specifico pregio di “A due passi dal destino”. Né mancano altri pregi, su cui è bene richiamare l’attenzione.
Per quanto appena detto le vicende narrate si collocano, lungo un percorso di memoria, ma non è questo l’unico itinerario dell’io narrante, impegnato in un incessante e serrato confronto con momenti vissuti ieri, che vengono ora rivissuto al “filtro” del suo sentire di oggi, consentendo anche una ricerca di possibili cause, nessi o motivazioni sottostanti alle proprie intime pulsioni e dalle interrelazioni con l’altro da sé.
In questo complesso gioco di rimandi, il fattore tempo risulta decisivo ai fini dell’efficacia del mix narrativo: mix in cui coesistono – sovrapponendosi eppure ben distinguendosi – il tempo “strutturale”, così intendendo quello oggettivo della narrazione come sequenza di eventi ed il tempo “dinamico”, cioè soggettivo-psicologico dell’io che interpreta o, se non esplicitamente, consente al lettore di interpretare quegli eventi e , soprattutto, i loro riflessi sulla dimensione interiore.
E’ in altre parole un gioco ad incastro, che condotto dall’Autrice con abile regia tra dissolvenze e flashback, mantiene sempre alta la tensione narrativa e quindi l’attenzione del lettore.
Per di più, proprio i momenti in cui Virginia cede il passo – o meglio l’animo e la penna – al tempo psicologico, il suo periodare assume forme prossime a quelle di un pensiero o di un’emozione come percepite allo stato sorgivo, quando a miriadi si addensano indistinte nell’istante creativo. Se non si tratta del “flusso di coscienza” di Joyce, Virginia Woolf o Eliot, molte pagine di “A due passi dal destino “sono a mio parere strutturalmente non lontane dal modello italiano di Giuseppe Berto e della sua non punteggiatura, da cui invece si discosta.
L’aspetto fondamentale della verosimiglianza delle vicende narrate – su cui è ben sorvolare per non sottrarre ai lettori il gusto della scoperta – è come detto tale da prendere subito per mano chi legge, senza più mollare la presa. L’effetto è dovuto alla particolare cura dell’ambientazione e dei personaggi, protagonisti e comprimari, nel rispetto dei canoni della normale quotidianità poiché non c’è traccia di alcunché di artificioso o cerebrale che toglierebbe credito alla verosimiglianza anzidetta.
Altro aspetto di fondo, ma non meno importante perché “trasversale” a tutto il libro, riguarda i temi trattati e il diverso approccio a quelli di atmosfera, che cioè fanno da sfondo all’evolversi delle vicende, rispetto a quelli di primo piano su cui la scrittrice “zooma”: E’ bene, sempre evitando di entrare nei particolari, dare conto del modo in cui Virginia attiva la sua cinepresa mentale nel dosaggio dei campi lunghi e delle zoommate.
All’alternarsi di questi sfondi, si susseguono sul proscenio narrativo stridori spesso drammatici tra vicende memoriali ed attuali per un’assenza incolmabile; stridori che pesano su un piatto della bilancia psico-esistenziale, ma sono più che compensati da gioie e soddisfazioni che stanno sull’altro piatto.
E se ci stanno non è un caso. Virginia sul finire del libro ce lo dice, e sono parole che evocano quelle di Marcel Proust quando (in “All’ombra delle fanciulle in fiore”) parla della memoria come “l’ultima riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le nostre lacrime sembrano esaurite, sa farci piangere ancora”.
Detto delle caratteristiche salienti, di questa pregevole opera prima di Virginia Bigiarini e non dovendo dire altro per consentire ai lettori di gustare i dettagli della storia, sia di trovarvi ulteriori ragioni di apprezzamento dell’opera, raccomando vivamente di assaporarla pagina per pagina.

Raimondo Venturiello
Roma, 9 maggio 2010





“Scritto per Virginia”
(Prof. Nonio Baeri)


Aggroviglia le sue memorie Virginia Bigiarini in questo suo colloquio con il destino, recentemente pubblicato da Aletti Editore nella sua collana “Narrativa”.
Il titolo è appunto “A due passi dal destino”, trattasi di un’opera prima sapientemente scandita, a meditato compendio dei “lieti e pesnosi” itinerari degli anni di formazione.
Il libro affascina il lettore, e forse perché sfugge ad una precisa definizione di categoria letteraria; è un diario, un memoriale di immaginarie avventure, o piuttosto la cronaca dell’adolescenza recente, qui costruita a folate di memoria, a paradigma di incontri casuali e di occasioni svanite che poi, nel dormiveglia riappariranno?
E’ una cronaca fatta di minute, pregnanti, impressioni che si imprimono nella coscienza (basterà un tono di voce a ricondurle, un alito di vento, un profumo…); sembravano cancellate, eppure la protagonista le rivive, in un accanito dialogo con se stessa. Dialogo tutto interiorizzato, fra parole dette (poche, reticenti) o , semplicemente meditate senza esprimerle: è lo sforzo di autocontrollo, di autoanalisi che segna il percorso fra le occasioni perdute e i prevalenti interrogativi dell’età sul dovere “essere” di Virginia che cresce e arrossisce nel ricordo, costantemente indotta a chiedersi quali risultati le promettesse il destino, o meglio quale futuro le storie accennate potevano riserbarle, in caso di più decisa maturità nel dominarle. E’ forse questa la ragione del fascino della narrazione, la descrizione sofferta e tuttavia sorridente di una mancata decisione pregressa: la Virginia di oggi è pronta ad intenerirsi (con materna sollecitudine) nei riguardi della Virginia com’era “prima” che tutto il resto accadesse. Ma, si sa, il destino…
( rif. lettura pag. 79/80)
Qui Virginia giunta a maturità racconta una storia romanzesca e credibile, subisce la sua stessa esperienza di cui sa di essere protagonista, ora incerta, ora sognante, sempre drammaticamente caratterizzata: i fatti, i non avvenuti, i personaggi involontari, coinvolgono il lettore in una ricerca degli assi portanti della vera vita, fino a quando non emerga, incontrollato, un procedimento mnemonico affidato alla pur casuale origine dei fatti determinanti. Essi sorgono a tratti e si confondono a onde musicali: “restiamo così muti ed anche un po’ confusi, torniamo per un attimo ragazzi, davanti ad una scuola, davanti ad un cielo pieno di stelle, davanti ad un semplice cuore disegnato sul marmo”…”Forse era destino” lo dice uno dei personaggi, piano piano.
Lei non risponde, come già è accaduto in passato; vorrebbe farlo ad alta voce, ma riflette: “non credo che le mie parole avrebbero risposta”:
Così Virginia, sin dal primo capitolo, inaugura la tecnica del discorso diretto duplice, sintomo di insicurezza e di autocritica, di cui si fa una colpa.
Parla a lui, parla a se stessa, a volte si risponde, in un triangolo suggestivo e coinvolge il lettore, portato suo malgrado a patteggiare, a scegliere fra le due Virginie, protagoniste del gioco. Quali conseguenze sarebbero scaturite, nelle due ipotesi? E’ il gioco (che non sfugge all’Autrice) delle “sliding doors” inaugurato da un bel film recente: se le porte scorrevoli del Metrò non si aprono al momento opportuno come cambierà il “destino” dell’ignaro viaggiatore? Il gioco condotto nel libro finisce per coinvolgere i tanti personaggi maschili incontrati dalla protagonista ‘nel crescere’ attraverso innocenti rossori, pentimenti, reticenze, o momentanee afasie, nella ricchezza di una adolescenza rivissuta; è interessante la sperimentazione del suo programma di lavoro, quale risulta dal secondo e più lungo capitolo (dal titolo Rimpianti). L’autrice sperimenta una nuova tecnica, ne anticipa i risultati; avverte persino il futuro lettore: “potrebbe non piacerti ciò che sto per dirti”:
E’ la tecnica degli “stacchi”, con ricorso ai “controcampi” cinematografici ed anche ai flashback”:
Lei ha ancora sedici anni e si sente un imbarazzato, brutto anatroccolo, si rimprovera delle parole non dette a tempo, confrontandosi con la figlia – ammutolita- che forse d’istinto potrebbe pure suggerire le frasi giuste alla madre, diventata per un sogno ricorrente sua coetanea indifesa.
Lo stacco si perde come tanti altri, sull’onda di un sorriso che immerge ogni fantasticheria nel presente appagato e felice. Mentre la dissolvenza ci fa scomparire il rammarico attuale per un antico idillio svanito, ci consola con un altro stacco familiare (magnifico exploit di sperimentazione narrativa). Il citofono suona: è il figlio piccolo che arriva a valanga: “Mamma apri…che ti ho svegliato? “ Quanti anni sono passati?
(rif. Lettura pag. 85/86)
Questa narrazione vivace e colorata dovrà fatalmente modificarsi. Lo ha deciso il destino, in modo spietato quanto imprevisto. La ragazza protagonista viene offesa dalla vita nel suo periodo di costante curiosità e ottimismo.
Dopo, l’esistenza di Virginia sarà radicalmente cambiata.
Inutile chiedersi perché, arrabbiarsi, pregare. Il fratello maggiore, personaggio autentico fra i tanti immaginari, che domina tutta la struttura narrativa dalla metà del libro in avanti, è colpito da un male contro il quale non esistono antidoti. La conversazione a più voci s’interrompe, diventa dialogo e lo notiamo ad apertura del capitolo 5 (titolo: Io e Te) e lo sottolinea un richiamo al Signore degli Anelli (Tolkien). “La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato”
Eccolo, lo scontro con il destino, quello che secondo una frase (forse solo attribuita a Beethoven da un contemporaneo fantasioso) sperimenta a commento del celebre “incipit” della Quinta Sinfonia in do minore (op. 67) ci induce tuttora a ripetere “così il destino bussa alla porta”. La permanenza e i ricordi tuttavia prolunga fuori dal tempo la continuità dell’essere, anche se Virginia , cresciuta in fretta, deve di colpo sperimentare il “male di vivere”.
Il tempo dell’infanzia è ancora qui, come testimoniato dalla bellissima immagine fotografica che fu scattata dal padre ed è ora riportata sulla copertina del libro.
Non è peraltro, un libro triste, né rassegnato questo “A due passi dal destino”; ci ha fatto bene rileggerlo ancora, perché ricrea per noi la persistenza delle immagini sulle retine del cuore, la contemporaneità delle generazioni attraverso cui la famiglia è solita dimensionare e giustapporre i ricordi.
Siamo certi che Virginia continuerà a scrivere, che saprà ritrovare “la speranza, la fantasia, e la voglia di credere ancora”. Per sé, per i figli, per le nipoti dalle gambe lunghissime che ballano questa musica dal nome metaforico (come dice l’Autrice): la corte dei miracoli”.
Quanto abbiamo appreso dal libro può condensarsi nell’invito del Siddartha (di H. Hesse) a porgere l’orecchio con animo tranquillo, come fa il fiume di Vasudeva:
“Hai appreso anche tu quel segreto del fiume, che il tempo non esiste?”
Forse lo ha detto anche Eraclito, sapiente greco, del VI secolo a.c. e quindi coetaneo del Siddartha (sempre che questi sia esistito).
Fruga nella sua soffitta immaginaria, Virginia e aggroviglia ancora immagini, sguardi e sorrisi. Scopre pagine fuori dal tempo: l’età è una convenzione retorica e nella metafisica eraclitea (panta rei) ci sono fiumi che scorrono senza tregua a mescolare l’immagine di padri e di figli, e delle loro voci.

Recensione a cura del Prof. Nonio Baeri
Roma, 9 maggio 2010





“A due passi dal destino”
Recensione a cura della D.ssa Giusy Brutti
(Psicologa- Psicoterapeuta)



Quando il ricordo è troppo doloroso diventa difficile accederci… Ma la memoria traumatica si trasforma in memoria narrativa rendendola così accessibile: in uno stato di sicurezza emotiva, in una zona intermedia fra “un piede nel presente e uno nel passato”…” l’autrice si confronta con se stessa in una sorta di dialogo diretto, gestendo magistralmente i diversi stati dell’io… passando dall’adulto, alla bambina, al genitore… ti conduce in una danza da brivido che non puoi fare a meno di seguire…di farti trascinare.
Delicato, tenero, denso di amore, con un’ironia che la contraddistingue, su se stessa e sugli altri, il libro è una condivisione di emozioni vissute, uniche e irripetibili che appartengono a tutti… Da leggere.


D.ssa Giusy Brutti


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