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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

A scuola di scrittura con CARLO LUCARELLI

di Rivista Orizzonti



CARLO, TU CONOSCI “ORIZZONTI” COME ANCHE ALTRE RIVISTE DI SETTORE. COSA PENSI A PROPOSITO DI QUESTO IMPROVVISO RIFIORIRE DI TESTATE INDIPENDENTI?
«Ah, ne penso benissimo! Noi abbiamo sempre invidiato certi scrittori americani, quelli dove leggi nelle note biografiche che sono stati scoperti da un grande editore dopo aver pubblicato un racconto su una rivista. A questo punto sorge spontanea la domanda: e noi? Cos’era questa magia delle riviste indipendenti? In Italia è stata sempre una funzione legata ai piccoli editori, con tutte le difficoltà del caso. Non dico che oggi non sia così o sia più facile varare testate indipendenti, ma è comunque straordinaria la possibilità di avere finalmente più zone dove parlare liberamente di letteratura e -perché no?- anche tentare un primo approccio col pubblico dei lettori».

ANCHE TU HAI FATTO QUALCOSA IN MERITO, PERÒ PRESSO LA RETE. SI CHIAMA “INCUBATOIO 16”.
«Come tutte le cose che nascono tra scrittori, anche “Incubatoio 16” è nata a tavolino, anzi: a una tavola al termine di una cena dove eravamo…tutti ubriachi!!! Pensa che io avevo detto Incubatoio Sedice, pensando al titolo, il nome di un impianto per la cova artificiale dei pulcini vicino casa mia, a Mordano. Tutti hanno invece capito “Incubatoio 16” e tale è rimasta. Una rivista pensata per Internet precede poi tempi di realizzazione veloci e una consequenziale periodicità. L’interessante sta in questo: noi ne abbiamo prodotto tre numero in meno di un anno ed è da un anno che siamo fermi al numero tre. Voglio dire, un ritmo che in Internet, con tutta la logica della contemporaneità che contraddistingue la comunicazione multimediale, definirlo anomalo mi sembra riduttivo. Eppure, se la leggi, è ancora moderna e fresca nonostante il tempo trascorso. Fra poco, comunque, arriverà il numero quattro!...»

ADESSO PARLIAMO DELLA TUA PRODUZIONE LETTERARIA. FACCIAMOLO PERÒ INSTAURANDO SEDUTA STANTE UN CORSO DI SCRITTURA CREATIVA PER I LETTORI DI ORIZZONTI. CAPITOLO PRIMO: IL PERSONAGGIO.
«Il personaggi secondo me è colui che fa la storia. Se tu riesci a capire chi è, cosa fa e perché lo fa, tutto il resto nasce da sé. Però, per fare questo, prima è necessario costruirlo. Costruire un personaggio è questione di sensi: tu una persona la vedi, gli stringi la mano -per cui la tocchi- , ne riconosci l’odore, ascolti il suo modo di parlare. Ci si avvale poi anche di un sesto e settimo senso: il primo è come la telepatia, cerchi di capire chi sia e ne intuisci il carattere. Il settimo senso è ancora più intrigante perché concerne il suo bagaglio personale, la sua vita: che mestiere fa, chi sono i suoi genitori, l’infanzia eccetera. Se tu da tutto questo riesci a trarre le due o tre cose che ti servono per la caratterizzazione, il personaggio è nato. È li, è quello e non potrebbe essere nessun altro».

A PROPOSITO DI QUESTO, ALLORA, LA SCELTA NON PUÒ CHE RICADERE SU DI UNO IN PARTICOLARE DEI TUOI ROMANZI, CARLO: “ALMOST BLUE”. È DAVVERO UN ROMANZO SUI SENSI. COME SONO NATI I DUE ANTAGONISTI?
«Simone, il cieco, nasce dalla mia idea di raccontare Bologna con un registro inedito, volevo farlo attraverso i suoni. Se tu vai in Piazza Versi e chiudi gli occhi, quindi isoli le orecchie e ascolti, senti tutta una serie di suoni che ti dicono cos’è Bologna: gli studenti universitari con accenti e cadenze diverse, i tram, la musica dalle radio… qualsiasi cosa. All’interno di tutto questo, ho dovuto mettere un cieco: una persona dall’udito finissimo e strumentalizzato per necessità come ponte verso l’esterno. All’inizio l’ho immaginato fermo. Anche perché se io andassi in giro per Bologna ad occhi chiusi, sbatterei la testa ovunque! Quindi Simone è fermo in una stanza. A questo punto, mi sono chiesto: come fa a sentire Bologna da una stanza? Qualche giorno prima, pensa te, incontro a Forlì uno scannerista. Lo scanner è quell’apparecchio che ti permette di ascoltare ogni tipo di frequenza -dalle radio della polizia ai telefonini cellulari- senza però darti la possibilità di comunicare a tua volta. E io gli ho chiesto che divertimento ci fosse, in tutto questo. Lui mi ha risposto con tutta una serie di eventi curiosi che sarebbero accaduti in giornata: dal Sindaco che incontra in prefetto, a una ragazza che andrà a beccare il suo fidanzato insieme all’amante. Eccoci arrivati. Simone è fermo in una stanza. E ascolta le voci di Bologna da uno scanner».

MANCA IL CATTIVO, A QUESTO PUNTO. COME NASCE L’IGUANA?
«Con un personaggio come Simone, non esistono premesse per costruire un giallo classico. Simone è una persona che vive in solitudine, in un buio che però è un buio colorato e non angosciante. Il suo antagonista doveva quindi somigliargli, ma al rovescio. Il suo buio, ad esempio, doveva essere totale, spesso, legato al mondo della pazzia. Ho pensato subito a un serial-killer. Uccide per sfuggire alla morte e quindi sceglie vittime sempre più giovani nelle quali incarnarsi: da lì il nome in codice Iguana. E poi tutta una serie di elementi ossessivi. L’incubo ricorrente: lui vede una specie di rettile corrergli sotto la pelle. L’Iguana inoltre è tormentato dal suono delle campane che battono continuamente nella sua testa; allora indossa sempre un paio di cuffie con un walkman e si spara costantemente musica a tutto volume nelle orecchie per non sentire “le campane dell’Inferno”, come le chiama lui. In quanto al genere musicale…c’è un episodio curioso. Io insegno alla scuola Hölden di Alessandro Baricco e uno degli alunni di un corso aveva tremendamente l’aria del serial-killer. Come se non bastasse, indossava le cuffie. Così lo avvicinai e gli chiesi, secondo lui, che musica avrebbe ascoltato un assassino. Sai cosa mi ha risposto? “Quella che ascolto io”. Erano i Nine Inch Nails! Tutti questi elementi li ho portati nello studio di un mio amico psicologo e da lì abbiamo fatto una vera e propria perizia analitica del mio serial-killer, dalla quale sono emersi particolari che io non avrei mai sospettato».

VENENDO ANCORA AD UN ALTRO PUNTO DEL NOSTRO CORSO DI SCRITTURA, LA TRAMA: QUANTO È IMPORTANTE? E POSSIAMO PUNTUALIZZARE SULLE PRINCIPALI DIFFERENZE TRA LE TRAME REALIZZATE PER BREVI RACCONTI E QUELLE DESTINATE A STORIE AD AMPIO RESPIRO?
«Ti rispondo iniziando dalla seconda parte della domanda. È una questione di spazi e di tempi. Nel romanzo ad ampio respiro, la linearità della trama si ramifica in tante direzioni, a seconda della storia che stai scrivendo. Potresti averla già schematizzata, ma comunque è mentre la scrivi che si sviluppa piano piano e la porti dove vuoi. Nel racconto breve, no. Lo spazio è ristretto, tutte le parole devono necessariamente essere fini alla trama e svolgere tre funzioni determinanti: una è quella estetica, quindi lo stile e la forma; deve poi esserci l’elemento narrativo, non dobbiamo mai dimenticarci che, nonostante l’esiguità dello spazio, stiamo comunque raccontando una storia con un suo inizio e una sua fine; in ultimo aspetto contenutistico. Sono tre funzioni presenti anche nel romanzo, ma avvengono in momenti diversi. In un racconto il tutto accade contemporaneamente. Non solo, ma nella misura breve è bene prendere in esame una sola idea, per raccontare una storia. Se ve ne sono di più, la cosa prende altre mire e si fa più articolata e complessa, pertanto distante dal concetto stesso di racconto».

PARLANDO DI TRAME, ARRIVIAMO AD “AUTOSOLE”. QUESTO È IL TITOLO CON CUI RIZZOLI HA RILEGATO IN VOLUME UNA SERIE DI STORIE CHE TU HAI SCRITTO DURANTE TUTTA UN’ESTATE SULLE PAGINE DEL QUOTIDIANO L’UNITÀ. RILEGGENDOLE IN SEQUENZA, CI SI ACCORGE DI UN CONTINUUM SPAZIO-TEMPORALE DA ROMANZO CONTENITORE, UNA STRUTTURA A MATRIOSKA DOVE LE VICENDE SI SUSSEGUONO SENZA RINUNCIARE ALLA PROPRIA AUTONOMIA.
«Sì, è vero. Anche perché io non avevo in mente le storie, in origine, ma solo il contenitore: l’autostrada. C’è la coda di macchine, in ogni macchina più trame. È nata, insomma, prima la struttura e poi i contenuti. Ma l’autostrada è un territorio di caccia pressoché infinito, per chi cerca storie. Io stesso la frequentavo quotidianamente per notare qualche aspetto curioso, difatti più d’uno dei miei personaggi sono persone reali che in qualche modo hanno attratto la mia attenzione. Nel libro ho poi potuto rimontare ogni storia secondo un ordine più preciso rispetto alle uscite sul giornale; mi sono accorti inoltre che toglievo parole, anziché aggiungerne. Era alla fine la sintesi l’aspetto più importante di questo libro. Anzi, hai detto bene tu: di questa matrioska!»

CI SONO TANTE ISPIRAZIONI CHE TU ATTINGI DALLA VITA REALE. E DAI FATTI DI CRONACA? DA BUON GIALLISTA…
«Senz’altro. Non c’è niente come la realtà che possa suggerire idee allo scrittore. Figurati la cronaca per un giallista! È un serbatoio di storie davvero enorme».

DAI FATTI DI CRONACA, O MEGLIO DAGLI OMICIDI IRRISOLTI, NASCE BLUNOTTE, LA TRASMISSIONE DA TE CONDOTTA SULLA RAI. GIÀ L’ANNO SCORSO PRESENTAVI LA SIMILARE MISTERO IN BLU: COSA CONTINUA AD OFFRIRTI L’ESPERIENZA TELEVISIVA?
«Nella scrittura moltissimo. Ci sono elementi, fatti…ma anche sensazioni che io rubo continuamente attraverso la trasmissione che conduco e importo poi sulla pagina. Noi, sinteticamente, raccontiamo casi irrisolti, come dicevi prima. Dietro, però, c’è la conoscenza profonda del caso, la collaborazione con la scientifica. Vai a vedere ogni carta, ogni documento relativo all’omicidio su cui stai lavorando. Inoltre mi ha permesso di conoscere tante province oscure, una parte dell’Italia di cui non sospettavo l’esistenza».

NEL GIALLO, ESISTE UN ASPETTO CHE PER ORA NON ABBIAMO CONSIDERATO. FACCIAMO RITORNO AL CORSO DI SCRITTURA CREATIVA E PARLIAMO UN PO’ DELL’AMBIENTAZIONE.
«L’ambientazione è importantissima, certo. “Almost Blue” è nato col pretesto di raccontare Bologna. Non solo, ma la città che scegli per mettere in scena la vicenda, il periodo storico deciso in funzione della trama…lo studio accurato di tutti questi elementi, fanno sì che l’ambientazione diventi una componente tanto importante per il libro, al punto da poterla considerare come un vero e proprio personaggio in più».

SECONDO TE QUALI CITTÀ ITALIANE SONO PIÙ “LETTERARIE”?
«Tutte. Assolutamente tutte, ne sono sicuro. Lo dico per esperienza personale: lavorando alla trasmissione televisiva, ho girato luoghi che mai e poi mai avresti immaginato come teatri di omicidi di una violenza veramente da romanzo noir. Inoltre sono letterari perché offrono scorci visivi di grande suggestione. Calvino ha scritto “Le Città Immaginarie”, ma pensando a tante città italiane e soprattutto reali».

UNA DOMANDA MALIZIOSA: PERCHÉ UNO SCRITTORE ITALIANO È COSTRETTO -A PRESCINDERE DAL GENERE CHE INTERPRETA- AD AMBIENTARE LE PROPRIE STORIE IN ITALIA, PIUTTOSTO CHE ALL’ESTERO? SE SCRIVESSE INVECE UN ROMANZO AMBIENTATO A NEW YORK, AD ESEMPIO, NON SAREBBE CONSIDERATO EDITORIALMENTE APPETIBILE?
«È un problema fisiologico. Non è tanto un discorso di documentazione o di fantasia: nel primo caso ti informi e costruisci la città a tavolino, nel secondo crei una metropoli alla Blade Runner e va benissimo così, diventa quindi una città di natura fantastica. È però difficile trovare uno scrittore italiano che scriva di New York -per seguire l’esempio che hai fatto tu- non come chi l’ha studiata sui libri, non come un cittadino locale, ma come un italiano che conosce New York. Scerbanenco descriveva una Boston nebbiosa, apatica, molto grigia…se tu però provassi a sostituirla con Milano, l’effetto sarebbe identico. Lui aveva pensato una città americana sulla base della città in cui viveva e lavorava ogni giorno, trovandosi di fronte al problema opposto: ai suoi tempi, i giallisti italiani dovevano ambientare i loro romanzi in America, perché l’Italia non era considerata interessante per il genere. Sempre secondo gli editori, ovviamente».

“L’ISOLA DELL’ANGELO CADUTO” È IL TITOLO DEL TUO ULTIMO ROMANZO USCITO CON EINAUDI: RITORNA IL GIALLO, MA ANCHE LA RICERCA STORICA CON UN PERIODO DI CUI NON TI ERA MAI OCCUPATO PRIMA. PERCHÉ IL 1925?
«Appunto perché non l’avevo mai affrontato e m’interessava farlo. In altri lavori pubblicati ho esaminato gli anni Trenta e Quaranta, ma degli anni Venti, gli anni degli albori fascisti, non ho mai scritto nulla. Si tratta di un periodo difficilmente manipolabile, staccato dai ricordi più ricorrenti nell’immaginario popolare di cui invece sono ricche altre epoche. Per questo motivo non ho avuto dubbi: il periodo doveva essere quello, perché la mia isola è immaginaria e tanto potevo renderla tale, quanto più sarei riuscito a staccarla dalla realtà. Pentendomi, poi, della mia scelta. Perché quando un periodo storico ha queste caratteristiche, non immagini la fatica che comporta la ricerca dei documenti. Perfino su sciocchezze come le canzoni. Non so come dire…tu ricordi un motivo degli anni Venti e decidi di inserirlo. Perfetto, va bene. Però, se la storia la ambienti nel ’25 e la canzone è stata scritta nel ’26… (ridiamo tutti, ndr)».

E “LUDOVICO SEI DOLCE COME UN FICO”?...
«Bravo! Mi hai beccato subito! Quella è una forzatura bella e buona. La cantava De Sica, purtroppo non ricordo gli autori. Una canzone idiota, tutto sommato, molto orecchiabile e perfetta per il mio romanzo, perché incarna -se mi passi il termine- tutta la pazzia della moglie del commissario protagonista. È stata scritta nel 1931. difatti ho messo una nota, dicendo che sapevo di questo, ma insomma! Con tutte le licenze che concede un’isola immaginaria, una me la sono voluta prendere anch’io!...»

(Articolo di Gianluca Mercadante, pubblicato su Orizzonti n. 33)


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