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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista a Matteo Nucci, quarto classificato al Premio Strega 2010

di Rivista Orizzonti



«Un romanzo non si scrive in un mese. Lavoro ogni mattina sapendo che è necessario aspettare, aspettare molto».


“Sono comuni le cose degli amici”, frase tratta dal Fedro di Platone, è il titolo del romanzo d’esordio di Matteo Nucci, quarto classificato al Premio Strega 2010. La storia inizia con la morte del papà del protagonista: un evento che fa riaffiorare rapporti sopiti o accantonati, dialoghi lasciati a metà, e induce a una verifica della propria vita. Il libro, a tratti, si muove secondo una lenta scansione della narrazione, con l’inserimento di più flashback; ed «è nato proprio così - confessa Matteo Nucci -, ma non li chiamerei flashback. Piuttosto il passato e il presente s’intrecciano nel romanzo in maniera costante, e soprattutto nella seconda parte. Dietro il velo dell’apparenza che descrivo, si muovono le forze dei dolori e degli affetti, di tutto il passato che si portano dietro. Nulla è senza passato. Che si ricordi o meno, qualsiasi nostro gesto accumula una quantità di strati di memoria, una memoria fisica, forse. Noi siamo quel che abbiamo attraversato e, nel mio modo di raccontare, generalmente, i grandi eventi, gli eventi forti, quelli che hanno segnato irrimediabilmente, sono nel passato e cerco di mostrarli per come si svelano ancora in ogni passo della nostra quotidianità».

VUOLE RAPPRESENTARE LA SOSPENSIONE DEL TEMPO DETTATA DALLA MORTE DI LEONARDO?
«No. In qualsiasi momento noi mostriamo, con le nostre azioni e le nostre parole, quel che siamo diventati. In situazioni decisive e centrali, come può essere un improvviso lutto, questo nostro essere - ciò che siamo stati e siamo diventati, e vogliamo diventare - preme con potenza più evidente».

BELLISSIMO IL TITOLO DESUNTO DAL “FEDRO” DI PLATONE: COME SOCRATE ANCHE LORENZO CHIEDE “LA POSSIBILITÀ DI DIVENTARE BELLO IN CIÒ CHE” HA DENTRO?
«Sì, e Socrate chiede anche che ciò che ha fuori sia in armonia con ciò che ha dentro. Ma il problema è proprio lì. Nessuno di noi, dentro, è bello. Siamo tutti pieni di ‘merda’, inevitabilmente. Ognuno con le proprie debolezze e i propri vizi. Abbiamo tutti perso l’età felice dell’innocenza e della felicità perfetta e, chi più chi meno, viviamo il senso di colpa dell’entrata nel mondo. Però si può tendere a un’armonia. Si può cercare una nuova autenticità.
La preghiera del ‘Fedro’ indica un cammino ed è al principio di un cammino. Fedro e Socrate, dopo una lunga chiacchierata sotto l’ombra di un platano che li protegge dal sole del primo pomeriggio, ritornano in città, tornano alla vita fra gli uomini, la vita sociale. E pregano perché questa tensione verso un miglioramento li accompagni.
Anche Lorenzo fa lo stesso. È un uomo che, con tutti i suoi errori, è pronto a sfidare il dolore pur di conoscere. E la conoscenza è necessaria a qualsiasi crescita, a qualsiasi tentativo di “diventare ciò che si è”, come diceva Nietzsche».

COME MAI LA SCELTA DI DEDICARE PARECCHIO SPAZIO ALLA PREPARAZIONE DELLA CARBONARA DI PESCE SPADA?
«È un momento decisivo della prima parte. Ha a che fare con molti rapporti che ha Lorenzo: con suo padre, sua sorella, la sua ex moglie, la signora che è a servizio a casa. E poi ha a che fare con le uova. Nella seconda parte, ci saranno uova cotte al tegame e mangiate crude. Nella terza ci sono uova ripiene. E ognuno può vedere la cosa come crede…»

QUALE PERSONAGGIO HAI MAGGIORMENTE ACCOMPAGNATO NELLA SUA EVOLUZIONE?
«Tutti, ovvio. Certo, il protagonista quantitativamente di più. Ma nessuna delle persone che compaiono nel romanzo sta ferma».

COME SI PASSA PER TECNICA E IDEA DALLA SCRITTURA DI RACCONTI A QUELLA DI UN ROMANZO?
«Con la disciplina che accompagna la scrittura come artigianato. La scrittura come mestiere. Uno spazio e un tempo precisi, con regole precise e uno sguardo semplicemente più lungo rispetto a quello che serve per scrivere un racconto. Un racconto può essere scritto in un giorno o anche in un mese ma, almeno nel mio caso, mai in un anno. Un romanzo invece non si scrive in un mese. Parlo sempre per me, ovvio - perché ho sentito di autori che scrivono molto velocemente. Ma, insomma, io mi do un tempo, uno spazio minimo da riempire e lavoro ogni mattina sapendo che è necessario aspettare, aspettare molto, per poi tagliare, riassestare, rilavorare.
Credo che sia uno scarto che ha a che fare con la maturità. Da ragazzino non avevo tutta questa voglia di aspettare. Anche se, a diciannove anni, scrissi un romanzo in un anno intero; un romanzo di una noia mortale».

APPASSIONATO E STUDIOSO DI FILOSOFIA: OGGI A CHE SERVE?
«Serve come serve qualsiasi altra cosa, a seconda del modo in cui la si fa. Le cose, in sé, non hanno nessun valore. Il valore lo dà il modo in cui si fanno. Se si studia filosofia con passione, attaccamento e soprattutto autenticità, beh allora può dare veramente molto. Se lo si fa diversamente, può dare nulla, anzi può deteriorare le capacità di vivere la
quotidianità. Ma questo vale per qualsiasi azione: importa come si fa, ciò che si fa. Certo, adesso si può dire che un ragionamento del genere è filosofico, ma in realtà io l’ho sentito, magari con altre parole, anche da persone che di filosofia non sapevano veramente nulla. In realtà, la vera filosofia è quel che dice la parola nella sua originaria etimologia: amore (philein); di sapienza, di conoscenza (sophia). E il mondo si divide in chi vuole conoscere, chi non smette mai di cercare e di guardare alle cose con spirito critico e chi invece si accontenta di ciò che gli viene detto, della pappa rifilata dalle autorità: padri, preti, televisioni, e quant’altro. La grandezza del pensiero occidentale sta proprio nella spinta critica, nell’ansia di conoscenza.
Qualcosa che in vari modi, negli ultimi quindici anni, soprattutto nel nostro Paese, si cerca di soffocare».



«Per Lorenzo, Leonardo è stato un padre affettuoso e insondabile. La sua verità gli è sempre sfuggita: o forse, ha sempre preferito non scoprirla, temendo di trovare in essa anche la propria. Ma la morte di Leonardo mette il figlio finalmente di fronte a una scelta decisiva: continuare a seguirne le tracce, conducendo una vita di impulsi e tradimenti, una vita destinata alla solitudine - o tentare finalmente un’autenticità limpida, faticosa, una coerenza negli affetti. In un’estate dei nostri anni spesa fra Roma e la Grecia, poche settimane in cui, come neanche il padre fece mai, nessuno sa o vuole dirgli tutta la verità, né le donne della sua vita, Sara e Carolina, né la madre Giovanna, elusiva e ferita, né la fragile sorella Martina, né Marco, l’amico tradito e rimpianto; in un’estate feroce in cui ciascuno è solo, eppure consegnato al desiderio, alla ricerca spasmodica, al bisogno insopprimibile dell’altro, e nulla è davvero come sembra; in questa estate definitiva, Lorenzo dovrà scoprire tutto insieme: chi era davvero suo padre? È ancora possibile amarsi? Che cosa c’impedisce di essere fino in fondo chi siamo?» (Dalla quarta di copertina di “Sono comuni le cose degli amici”, Ponte alle Grazie)

(Articolo di Giovanni Zambito, pubblicato su Orizzonti n. 38)

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