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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Simonetta Agnello Hornby, autrice di bestseller, spiega come nascono i suoi libri. «Spesso sono motivata dalla rabbia»

di Rivista Orizzonti


«Sono un avvocato che scrive», è così che si definisce Simonetta Agnello Hornby, scrittrice da qualche anno (per la precisione nove) avvocato da sempre (trent’anni), che si è imposta nel mondo letterario già col romanzo d’esordio, “La Mennulara”, divenuto un bestseller in Italia, e successivamente tradotto in ben dodici lingue.
Il libro in questione, come anche i successivi “La zia marchesa” e “Boccamurata”, sono tutti ambientati in Sicilia, ed ispirati alla sua vita precedente ai ventun’anni, quando, dopo aver sposato un inglese, la Agnello si è trasferita in Inghilterra, dove ha esercitato la professione d’avvocato a partire dal ’72.
In questi libri, della cosiddetta «trilogia siciliana», l’Agnello ha impiantato lontane e vicine storie di poveri e nobili, e un pullulare di personaggi minori che affiancano le vicende principali del racconto.

«Tranne che per “La Mennulara”, la cui idea mi venne all’aereoporto, in genere, nella stesura dei miei libri, sono spesso motivata dalla rabbia. Ad esempio, ne “La zia marchesa” ero seccata con Pirandello e con casa Agnello: questa mia zia, infatti, realmente esistita, era stata maltrattata in famiglia ed anche da una novella di Pirandello» spiega la Agnello.
«La Mennulara spuntò nella mia mente perfetta come un film, durante il ritardo di un aereo. Come tutte le altre volte, nel mese di agosto, dovendo rientrare in Inghilterra, mi ero recata all’aeroporto di Palermo, accompagnata da un mia amica, che adesso non c’è più. Lei mi regalava sempre un libro da leggere durante il viaggio (di solito un libro di Camilleri), ed anche quella volta me lo diede e lo infilai prontamente in borsa. Quando controllarono la borsa, però, mi dissero che pesava troppo e che dovevo lasciarla in stiva. Partirono, dunque, libro e borsa insieme. Io rimasi soltanto con la borsetta, dove avevo infilato l’alloro di mamma, le marmellate, e nient’altro - non c’erano né carta né matita. Insomma, non sapevo cosa fare nell’attesa. Arrivata finalmente a Roma, comunicarono che il mio aereo sarebbe partito con tre ore di ritardo. Annoiata e non sapendo come passare il tempo, mi misi a pensare… vidi la scritta rotonda “Mennulara”, e poi attori… una che sta morendo… e ogni tanto corpi nudi, senza capire chi fossero (lo capii alla fine). E ho seguito la storia nella mia mente, criticandola: è un poco melliflua, in questo punto risulta improbabile, questo mafioso non mi piace! Ed era così bello questo film che quando arrivai a Londra mi dissi: “devo scriverlo”. Ed è nato così».
Pubblicato nel 2002, il libro è un racconto corale, che si muove a spirale intorno alla figura di Maria Rosalia Inzerillo, detta “la Mennulara”. Alla sua morte, tutto il paese di Roccacolomba inizia a domandarsi chi sia stata davvero, e le risposte sono le più varie: chi dice una profittatrice, chi una pedina della mafia locale, chi una seduttrice… Ogni elemento aggiunge colore al grande ritratto di donna, che viene consegnato al lettore insieme ad una storia fitta di misteri. Il libro ha vinto, nel 2003, il Premio Letterario Forte Village, il Premio Stresa di narrativa e il Premio Alassio 100 libri - Un autore per l’Europa.

Per quanto riguarda la genesi del secondo, “La zia marchesa” (2004) - libro che la Agnello ha amato di più tra tutti quelli che ha scritto (forse perché legato alle vicende di una sua antenata) - la scrittrice dice: «da bambina facevo spesso visita a mia nonna, che viveva in un palazzo a tre piani con sei appartamenti, ognuno per ogni fratello dei miei nonni. Io salivo e scendevo per casa facendo visita a queste prozie che, durante i lavori a maglia o di ricamo, sparlavano di tutti (del parente di fronte o di sotto, del farmacista, e via dicendo). Quando al centro della discussione vi era una donna, c’era sempre una di loro che commentava: “pare una zia marchesa!”. Ed io chiedevo: “chi è la zia marchesa?” Non avendo mai avuto risposta da loro, chiesi a papà chi fosse questa donna. “Che t’interessa?” mi disse. Ed io: “le zie ne parlano male”. E lui a quel punto rispose: “sono tutte stupide le tue prozie! Era una sorella del tuo bisnonno, è morta senza figli e ha lasciato tutto a tuo nonno e ai suoi fratelli, e niente alle sorelle. Dovrebbero benedirla!”
Quella fu la prima ingiustizia che io vidi nel mondo, e mi rimase impressa: non mi sembrava giusto che si parlasse male di una persona che aveva lasciato soldi. Poi quando ebbi dodici anni, il fratello di mamma mi introdusse a Pirandello, e mi informò che lui s’era ispirato alla nostra famiglia per alcuni racconti (come a mezza Agrigento), ed aveva scritto anche una novella, “Tutte e tre”, che narrava la morte del marito della zia marchesa. La lessi e mi resi conto che Pirandello aveva trattato la zia in modo indegno e nacque in me il desiderio di riscrivere la storia. Quando il libro è stato pubblicato non ho fatto cenno alla novella di Pirandello, perché allora i diritti della famiglia Pirandello non erano ancora estinti ed io non volevo, in alcun modo, che andasse neanche mezzo centesimo nelle loro tasche!»
La storia, ambientata nella Sicilia di fine Ottocento, è la saga di una famiglia aristocratica. Anche qui la protagonista è una donna (di cui viene fornito un ritratto fra luci ed ombre), destinata, controvoglia, a reggere le sorti di un ceto in rovina.

E con l’ultimo, “Boccamurata”, pubblicato nel 2007, c’è ancora una volta la famiglia al centro della scrittura, come covo di sentimenti indecenti, di lotta per la “roba”, sullo sfondo però di una Sicilia modernissima e viva, fotografata in un momento di decadimento dei valori assodati.

Dopo i libri ambientati in Sicilia, quella dei ricordi della sua giovinezza, nel 2009 ha pubblicato “Vento scomposto”: un romanzo diverso, rispetto ai precedenti, nei luoghi e nelle ambientazioni (qui ci troviamo nella Londra di oggi) ed anche nello stile (avverte in nota la Agnello che il libro è stato scritto prima in inglese, e poi da lei nuovamente riscritto in italiano). Questa procedura, come ha commentato lo scrittore Andrea Camilleri, «ha finito col giovare al romanzo, almeno per quello che riguarda la versione italiana: l’averlo pensato e scritto in inglese, credo che sia servito a definire con estrema chiarezza e lucidità le situazioni e i caratteri dei personaggi, in qualche modo distanti dalla cultura originaria dell’autrice».
La storia è quella dei coniugi Pitt, che si sono trasferiti nella loro nuova casa nel quartiere chic di Kensington, con le figlie Amy e Lucy. L’uomo lavora come merchant banker, la donna come consulente per una nota catena di negozi. È una “normale” famiglia borghese benestante, fino a quando la terribile accusa contro il padre, di abusare della piccola Lucy, sconvolge la tranquillità abituale. È l’inizio di un incubo per questa famiglia, che deve affrontare una ragnatela di accuse che si infittisce ogni giorno di più, e in cui innocenza e colpevolezza si dividono la scena fino all’ultima pagina.
Tuttavia, nonostante le notevoli differenze rispetto ai precedenti romanzi, non mancano gli elementi in comune. Come le minuziose descrizioni degli ambienti (questa volta non più dei paesaggi della Sicilia, ma degli interni degli appartamenti - dove i personaggi svolgono la loro vita lavorativa o privata). Come le numerose reti relazionali, con numerosi soggetti secondari che si intersecano alla storia portante (qui se ne contano ben quarantadue) e contribuiscono a ricostruire le ambientazioni: in questo caso specifico rendono «l’idea della multietnicità, della commistione di cultura e di lingue, della dolente, minuta umanità della Londra di oggi, lasciando una sorta di inquietudine sospesa nel lettore e implicitamente suggerendo quante situazioni di disagio, addirittura vere e proprie tragedie, gravitano inespresse intorno alla vicenda principale. È una tecnica narrativa semplice, che richiama certi metodi alla Conrad… Così la tensione cresce di pagina in pagina, non solo tra i membri della famiglia Pitt, ma anche nello stesso lettore, che segue le vicende», come ha commentato Camilleri.

«Questo libro per me è importante perché è ispirato dal mio lavoro - ha spiegato la Agnello -. Nel romanzo, in cui vi sono tanti pezzi di storie realmente avvenute, l’elemento che volevo mettere in risalto è che, se l’avvocato dei Pitt non avesse avuto soldi (per chiamare gli esperti migliori, per andare in tribunale ogni minuto, per far volare o venire i testimoni…), questa famiglia avrebbe perso la causa. E queste situazioni che ho vissuto spesso nel mio lavoro (perché ho perso delle cause non disponendo di abbastanza denaro) hanno fatto crescere in me la rabbia. E quando sono arrabbiata io scrivo e lo racconto a tutti».
Vento scomposto, che ha ricevuto nel 2009 il Premio Speciale della giura del Premio Rapallo Carige, il Premio Fregene per la narrativa ed il Premio Ninfa Galatea, è stato pensato per il mercato anglosassone, tant’è che, per contratto con Feltrinelli, è stato scritto in lingua inglese.
«Io scrivo meno bene in inglese rispetto all’italiano, ma con più facilità. Quando ho dovuto scrivere la versione italiana, non mi sono tradotta, perché non ci sarei riuscita (traduco male le lettere di avvocato quando devo farlo… figuriamoci un romanzo!), ma ho dovuto riscriverlo. Ho avuto la fortuna di lavorare con Giovanna Salvia, della Feltrinelli: con il testo inglese sotto il naso leggevo in italiano cambiando le parole oppure i dialoghi, mentre lei lo scriveva. Quest’esperienza mi ha fatto capire e ammirare intensamente il ruolo del traduttore, che non deve mai tradurre parola per parola ma deve reinterpretare il testo: il traduttore può creare o distruggere un libro».

I primi due libri, “La Mennulara” e “La zia marchesa”, sono stati tradotti e pubblicati anche in Inghilterra. «Ho avuto buone recensioni, ma non hanno venduto un granché (sulle 3000/5000 copie). Certo, non è male, considerando che gli inglesi non leggono libri tradotti».
Per quanto riguarda il titolo italiano “Vento scomposto” (il titolo inglese è There is nothing wrong with Lucy, che tradotto letteralmente significa “Non c’è niente che non vada con Lucy” e rappresenta il rifiuto della famiglia di ammettere che era accaduto qualcosa di grave) l’autrice racconta un aneddoto.
«Io sono molto grata a mia madre che, fino a questo libro, è stata la mia lettrice più attenta. Ultimamente però mamma ha perso molto la memoria ed è meno interessata ai miei libri. Un giorno stavo cercando di raccontarle la storia di questo libro, ma lei era preoccupata dal forte vento, che aveva rivoltato tutta la biancheria stesa ad asciugare, e non faceva altro che ripetere: “che ventaccio scomposto! Che ‘vento scomposto!’” In quel momento ho capito che quello sarebbe stato il titolo giusto per il libro, perché simboleggiava perfettamente la tempesta che si era abbattuta sui Pitt. Infatti, quando il vento è scomposto, non sai mai da che lato tira: a volte ingarbuglia tutto, arruffa le lenzuola, all’improvviso diventa tranquillo, per poi ritornare a scompigliare di nuovo. E quando il vento finisce, le lenzuola non ritornano più lisce, hanno sempre qualche piega. E così è per la famiglia dei Pitt, che viene dilaniata per otto mesi: quando l’incubo si conclude, la vita non può ritornare come prima, perché rimane sempre qualche piega di dolore.
Il prossimo libro? «Ritorno nel sud Italia per raccontare la storia di una monaca. Mi era venuta in mente la prima volta quattro anni fa, ma poi l’avevo accantonata».

(Articolo di Teresa Filomeno, pubblicato su Orizzonti n. 37)


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