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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Cosa legge ANGELA FINOCCHIARO? ( Intervista )

di Rivista Orizzonti

Da anni Angela Finocchiaro, a fasi senz’altro alterne, porta in scena – o recita sullo schermo – la letteratura. Dagli spettacoli ispirati al teatro di Stefano Benni (accompagnata sul palco dall’eccezionale “rumorista” Andrea Ceccon) alla relativamente recente interpretazione in “Non ti muovere” di Sergio Castellitto, l’artista milanese ci ha fatto venire spesso voglia di chiacchierare con lei a proposito di scrittura. “Orizzonti” l’ha incontrata. E, cosa assai nota fra lettori, se si inizia a parlare di libri, ci si mette sempre a nudo un po’ di più…


Angela, ti è mai capitato di leggere libri che avresti desiderato interpretare? Al cinema o in teatro.
«Sono favorevolissima alla letteratura portata ovunque, in entrambi i sensi. Partire da basi così solide allo scopo di realizzare uno spettacolo, si rivela ogni volta un’esperienza corale, che coinvolge tutto e tutti. Ma quando in Italia si legge un libro inglese, per esempio – e a me è capitato di credere che l’ultimo romanzo di Allison Pearson fosse perfetto per il cinema -, puntualmente scopriamo che l’America si è mossa in anticipo da tempo per acquistarne i diritti in esclusiva, anche perché forse là da loro quel libro si trovava sugli scaffali delle librerie da almeno un anno, mentre qui è ancora una novità. Se consideri i tanti, tantissimi passaggi che un’opera compie dal Paese d’origine alle varie traduzioni, l’idea di trarre un film da quanto si legge diventa quasi una frustrazione».

E provarci col teatro, allora?
«Gli spettacoli teatrali che ho fatto anni fa si basavano sempre su input letterari, del resto ci sono storie bellissime e vale davvero la pena di farle uscire dalle pagine, offrire loro dimensioni diverse. Il problema dell’Italia, anche in questo caso, sono i fondi: acquistare i diritti di un’opera straniera comporta una spesa che né il cinema né il teatro possono permettersi e si finisce quindi a considerare maggiormente gli autori italiani. Non penso tuttavia che questa necessità sminuisca il talento dei nostri scrittori, anzi: tutto ciò che nasce come opera letteraria, se viene poi tradotta altrimenti, trovo che mantenga radici molto profonde e possa perciò offrire più di un solo spunto utile ad aprirsi verso possibilità infinite. Un buono scrittore lo leggi a vari livelli: affrontarne un testo, analizzarlo, è quasi come aprire non un semplice libro, ma una matrioska. Si arriva veramente a sondare confini di rilettura lontanissimi dalla soglia iniziale – ed è questa secondo me la cosa davvero interessante».

Sugli schermi ti abbiamo vista recitare diretta da Sergio Castellitto in “Non ti muovere”, un autentico caso letterario diventato film. Accade di frequente che il cinema attinga alla letteratura, ma cosa ti ha spinto come attrice – e come lettrice forte quale sei – a partecipare al progetto?
«Ho letto con passione i primi due libri di Margaret Mazzantini, ma questa sua seconda opera in particolare, “Non ti muovere”, è un romanzo molto forte, dalla prosa estremamente evocativa, capace di trasmettere al lettore tutta una serie di emozioni e sentimenti che vanno al di là di una semplice pagina scritta. Con questo spirito ho partecipato al progetto, scoprendo in Castellitto – che già consideravo uno degli attori italiani in assoluto migliori – anche una persona in grado di lavorare nel ruolo di regista. Ottenendo poi risultati raffinati, perché il suo atteggiamento con la troupe è rimasto quello dell’attore intelligente che ha sempre dimostrato di essere: è riuscito infatti a elaborare un testo, fino a rimodellarlo per poi portarlo in scena, inculcando agli interpreti tutto quello che il romanzo rappresentava, senza per questo travisarne il significato e lo spessore. Non so quanti registi sappiano trattare una storia simile facendo altrettanto».

Quali differenze fanno sì che un testo di narrativa diventi adatto al cinema, piuttosto che al teatro?
«In entrambi i casi si compie un lavoro drammaturgico sul testo in modo da effettuare un vero e proprio percorso emotivo, sia autoriale che recitativo. Ovvero: se nella pagina scritta la sola prosa di uno scrittore riesce a evocare nei lettori delle sensazioni vive, o una visualizzazione individuale di quanto nel libro si sta raccontando, il teatro necessita di azione. Tutto ciò che nel libro è semplicemente descritto, per quanto benissimo, il teatro non può per sua natura riportarlo allo spettatore così com’era in origine, ma grazie a un intenso lavoro di drammaturgia la sospensione emotiva - che in una narrazione si evolve a parole - su un palco deve assolutamente e necessariamente trasformarsi in un movimento fisico, in un accadimento concreto. Nel cinema è forse più facile ottenere lo stesso risultato. Per quanto un film sia indecente, a qualcosa ci si attacca, è difficile che una storia raccontata per immagini, con una colonna sonora appositamente creata per, si butti via del tutto. Uno spettacolo teatrale inutile è invece una brutta malattia, secondo me. Come si fa a coinvolgere per due ore un’intera platea che si annoia visibilmente? Se in teatro ti racconto qualcosa che inizia da “a” e finisce almeno a “m”, in mezzo sono costretta a inventarmi mille spunti, perfino a improvvisare, se desidero davvero un pubblico partecipe sempre. Il contatto diretto con la gente – per quanto sia delimitato da un palcoscenico -, il cinema non ce l’ha. Ed è un vantaggio non da poco».

C’è almeno un libro in particolare che ricordi di avere letto con un trasporto e un’emozione assolutamente diversa da altre esperienze di lettura?
«Ogni volta che mi si pone una domanda simile la mia testa si apre su una spianata enorme, un’improvvisa tabula rasa di autori e titoli. Così, a bruciapelo, ti direi il “De Profundis” di Oscar Wilde. Come ricorda Stefano Benni, i libri vivono di due incontri: il suo, quello dell’autore stesso col proprio testo, e il tuo momento personale. Io infatti ricordo soprattutto lo stato in cui mi sentivo mentre leggevo quel libro di Wilde. Bisognerebbe rileggere certi libri, cercare di capire se la maniera con cui li hai percepiti la prima volta dipendeva in effetti soltanto da te, oppure ti può succedere di riscoprirli sotto una nuova luce ancora, tempo dopo. Ma con tutta la roba che esce... ».

Con gli spettacoli succede altrettanto? Ti è mai capitato di reinterpretare qualcosa che avevi recitato anni prima e provare, come attrice, sensazioni completamente diverse da quelle che ricordavi?
«Dunque: a me questa cosa non piace. Ci ho provato una volta sola. Quello spettacolo era legato a un mio momento particolare e quindi conservavo anche in quel caso il ricordo del mio vissuto parallelo, piuttosto che l’idea complessiva dello spettacolo in sé. Quando mi sono ritrovata sul palco a ripeterlo, ho finito col cambiare diversi dettagli nel testo, perché altrimenti lo trovavo ingenuo, nostalgico… Il che presumo però non accada se affronti uno Shakespeare, anzi: per un attore, certo teatro equivale agli standards per i suonatori di jazz. La maturità che hai raggiunto come interprete spesso si convalida proprio attraverso i classici. Coi film non mi succede. Non amo rivedermi. Mentre si lavora a un film ci si deve per forza rivedere subito e cercare in questa fase di lasciar perdere tutto l’egocentrismo del caso, concentrandosi sull’emotività che hai lasciato affiorare, sullo stile di recitazione, i vari interventi che si possono ancora fare – così pure nel caso della scrittura e della successiva interpretazione di un testo teatrale. Rivedersi dopo anni… se posso, evito. Sarebbe veramente farsi del male. Almeno, secondo me».


NOTE BIOGRAFICHE:
Angela Finocchiaro inizia il suo percorso teatrale negli anni '70, nella compagnia sperimentale "Quelli di Grock" (alla cui fondazione contribuisce attivamente), dove operava Maurizio Nichetti. Partecipa a varie performance, tra cui "Spariamo alle farfalle", "Felice e Carlina", "La città degli animali", "Giochiamo che io ero", "Vieni nel mio sogno", "Dudu Dada".
Nel 1980 allestisce, con Carlina Torta e Amato Pennasilico, lo spettacolo "Panna Acida", nome che passerà poi ad indicare un nuovo gruppo teatrale - e partecipa al film che le darà notorietà nazionale: “Ratataplan” di Maurizio Nichetti, cui farà seguito, dopo un anno, la partecipazione al successivo film di Nichetti, “Ho fatto splash”. Nel frattempo, scrive, interpreta e allestisce, sempre con Torta e Pennasilico, il secondo spettacolo di “Panna Acida”, “Scala F" (1981), dedicandosi anche alla conduzione (e ideazione) della trasmissione radiofonica “Torno subito”.
Nel 1982-1983 partecipa come co-protagonista allo spettacolo “Arsenico e vecchi merletti” (Teatro Nuova Scena), mentre nell’84, mai stanca di imparare e di mettersi in gioco, frequenta il seminario del Teatro di Porta Romana tenuto da Dominic De Fazio (con il quale continuerà poi a studiare a Roma), allestisce lo spettacolo “Miami” per la rassegna “Milano d'estate” del Comune, e partecipa al saggio di drammaturgia della Civica Scuola d'Arte Drammatica.
Negli anni ’80, l’attrice collabora ancora con Nichetti, e con Gabriele Salvatores, alla trasmissione per Canale 5 “Quo vadiz” – mentre già scrive per “Panna Acida” lo spettacolo “Viola”, e nell’85 gira l'Italia per proporre i cavalli di battaglia di quel gruppo.
Nella stagione 1985/86 debutta nel cabaret, interpretando il monologo Bocconcini di Giancarlo Cabella, grande successo di pubblico e critica, aprendo così una nuova fase della sua carriera artistica.
Poco dopo (1988/89) porta in scena il fortunatissimo spettacolo teatrale in forma di monologo “La stanza dei fiori di china”, scritto da Giancarlo Cabella e ispirato al romanzo “Fiori per Algernon” di Daniel Keyes. Nello stesso periodo, è una delle attrici protagoniste dell’innovativa trasmissione RAI “La TV delle ragazze”, condotta da Serena Dandini, nel 1988/89.
Dagli anni ’90 in poi, oltre ad aver interpretato importanti personaggi di alcune note fiction o serie televisive (“Madri”, “Dio vede e provvede”), numerose sono le pellicole cinematografiche cui Angela Finocchiaro ha preso parte: “Il portaborse” (di Daniele Lucchetti, 1991), “Il muro di gomma” (di Marco Risi, 1991), “Arriva la bufera” (di Daniele Lucchetti, 1993), “A che punto è la notte” (di Nanni Loy, 1994), e i recenti “Non ti muovere” (di e con Sergio Castellitto 2004) e “La bestia nel cuore” (di Cristina Comencini, 2005).
Angela Finocchiaro ha ricevuto il 28 novembre 2005, dalle mani dell’ex Presidente Ciampi, il Premio De Sica. Nel mese di febbraio 2006 ha inoltre vinto il Nastro d’Argento 2006 come miglior attrice non protagonista per la sua interpretazione ne “La bestia nel cuore”


(Articolo di Gianluca Mercadante, pubblicato su Orizzonti n. 30)

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