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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

“Nero bifamiliare”: L’esordio alla regia di Federico Zampaglione ( Intervista )

di Rivista Orizzonti

“Nero bifamiliare” può essere riassunto in tre definizioni: “film contaminato”, “film elettronico” e “film spagnolo”. Come vede questa sintetica ma significativa caratterizzazione?
«Partiamo da “contaminato”. Mi sono sempre avvicinato al cinema da appassionato, da persona che con grande interesse in questi anni vedeva dei film. Nei miei videoclip cercavo di raccontare delle storie, a volte fatte in animazione a volte girate da me, però alla fine mi sentivo un po’ triste perché c’era tutto un grande lavoro per qualcosa che in realtà durava tre minuti. In questo film ho cercato allora di mettere molta cura: ho scritto la sceneggiatura insieme a Rudolph per quasi otto mesi, durante i quali non ho più suonato dal vivo. Credo così che questo lavoro rappresenti anche un omaggio a quella preziosissima arte che è il cinema e a chi lo fa in maniera costante.
Riguardo l’elettronica il discorso mi appartiene da vicino: quello che ho composto in questi anni ha sempre risentito dell’influenza di questo genere musicale. In alcuni momenti del film, nel montaggio e nelle immagini, nel modo in cui mi sono approcciato a girare alcune sequenze c’è sicuramente uno sguardo verso quel tipo di ritmi e anche di psidechelie, per cercare più di evocare qualcosa che di raccontarlo in maniera tradizionale: ciò riflette un mio modo di vivere le immagini.
Riguardo poi la definizione di “film spagnolo” sicuramente amo molto il cinema spagnolo, mi interessa, mi sta a cuore e da un punto di vista di colori lo trovo molto comunicativo. Mi piacciono molto i lavori di Almodóvar e quelli di Alex De La Iglesia, che considero un regista particolare e innovativo. Quando abbiamo cominciato a capire che tipo di immaginario visivo ci poteva interessare per il film i presupposti erano che i luoghi non fossero così riconoscibili: è volutamente assente il connotato di un luogo preciso per far sì che sia messo maggiore accento su cosa accade e non su dove accade».

Lei parla di una grande passione per il cinema e nel suo film si ritrovano molte influenze. Quali definirebbe i suoi registi-guida?
«I miei registi di riferimento sono tanti. Guardando cinema a 360 gradi ho amato molto la commedia degli anni 70, quindi la maggior parte dei lavori di Monicelli, Comencini. Mi piace anche il cinema di genere: sono cresciuto con Mario Bava, con Dario Argento, con film che avevano a che fare con l’horror, poi mi piace molto anche Tarantino e quei film fatti anche di immagini e di silenzi. Comunque i miei gusti sono variegati, ed è la stessa cosa che mi capita con la musica: non sono mai riuscito ad ascoltare solamente un genere, quindi è un approccio abbastanza libero però poi quello che davvero mi interessa è apprezzare la direzione in cui il film va e tutti quegli svolgimenti e quelle atmosfere che contribuiscono alla fine a caratterizzare il suo genere».

Come definirebbe questo film parlando di un genere?
«“Nero bifamiliare” credo che fondamentalmente sia una commedia, magari un po’ di costume, con dei toni neri, in cui si vanno a toccare degli aspetti discutibili dell’Italia, atteggiamenti che si trovano in giro, che fanno un po’ ridere. Una commedia comica anche, dietro cui si nasconde la voglia di parlare di temi e situazioni che in questo momento non sono molto comici e che vanno evidenziati, come la diversità, il pregiudizio, la paura di confrontarsi con persone di cultura differenti verso le quali c’è sempre un certo timore».

Solo dieci anni fa faticava a trovare un posto nella scena musicale italiana e oggi i Tiromancino hanno avuto un grande successo e si può parlare anche di un imminente successo del film. A cosa attribuisce questi buoni risultati?
«Non parlerei di successo del film perché deve ancora uscire, quindi scaramanticamente… (ride)
Quando ho comunicato che volevo fare un film e fermare tutto il discorso musicale alcuni mi hanno guardato come fossi impazzito. In realtà la cosa su cui ho puntato era proprio la voglia di andare oltre certi meccanismi: il fatto che ad un certo punto trovi un tuo stile, ti esprimi attraverso quello stile, fai dei dischi che sono apprezzati, fai dei tour, tutto questo è molto bello e interessante ma dopo del tempo ti sembra di aver definito il tuo ruolo e non muoverti più da lì. Avevo paura che questo da un punto di vista artistico mi potesse fermare e dal momento sono una persona curiosa, che ama la vita e le cose della vita ho scoperto che parlando con Rudolph, questa idea di fare un film e di lanciarci in questo magico viaggio, mi è sembrata un’esperienza molto affascinante e stimolante. E infatti mi ha dato molto. Ho avuto la fortuna di dirigere un cast di attori eccezionali quindi anche da un punto di vista umano e creativo ho avuto l’occasione bellissima di lavorare con artisti con cui forse non avrei mai avuto la possibilità di confrontarmi».

Sta per uscire l’ultimo disco dei Tiromancino, colonna sonora del film e in questo film di musica ce n’è molta. “Nero bifamiliare” può essere definito un “videoclippone”?
«Io non credo che sia un “videoclippone”. In alcuni momenti abbiamo privilegiato un racconto attraverso immagini e musica più che con dialoghi, perché narrativamente era molto più facile dare dei flash attraverso la musica. Credo che musica e immagini insieme hanno il grandissimo potere di evocare sensazioni e dare emozioni in maniera immediata. Ci sono di sicuro nel film momenti in cui si è giocato molto sull’impatto di questi due elementi, uniti con un montaggio particolare anche, però è un film di trama, è un film in cui si sta raccontando una storia e i personaggi compiono dei percorsi, per cui è difficile definirlo come un grande videoclip perché di solito in un video non ci si muove da una situazione. Qui invece si racconta anche la trasformazione e le mutazioni, nel bene e nel male, di una serie di personaggi che interagiscono nella società, c’è sicuramente grande attenzione nel rendere omaggio alle musiche ma anche la voglia di raccontare una storia e di mantenere dei tempi proprio dal punto di vista cinematografico, nell’evidenziare la suspance e gli aspetti più grotteschi che non hanno niente a che vedere con l’elemento musicale».

Come è stato dirigere sul set la sua compagna Claudia Gerini, protagonista del film?
«Devo dire che ci vedevamo meno del solito. Io arrivavo lì la mattina ed ero abbastanza pressato fin dall’inizio della giornata, avevo molto da fare: l’arrivo di Claudia sul set era un bel momento ed era un piacere trascorrere delle ore con lei e condividere questo film, però eravamo coscienti del fatto che se fossero subentrati degli equilibri personali la lavorazione sarebbe stata molto più pesante e costellata di incidenti (sorride)».

In certi momenti il suo film fa pensare che tutto si risolverà in un bagno di sangue, invece con stupore si vede il contrario. È un elemento, quello del lieto fine, pensato fin dall’inizio? «Assolutamente sì. Quando abbiamo scritto la sceneggiatura ci siamo riproposti di non dare un messaggio negativo: abbiamo infatti cercato di ironizzare e di fare la caricatura di certi atteggiamenti. L’esigenza era di raccontare qualcosa di drammatico che però alla fine lasciasse una speranza, a differenza di quello che purtroppo succede nella realtà. Si voleva dare una possibilità a questi personaggi per non condannarli ad un finale tragico».



(Articolo di Vera Usai, in collaborazione con www.cinemadelsilenzio.it - pubblicato su Orizzonti n. 31)

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