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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei. Simonetta Agnello Hornby presenta “La cucina del buon gusto”, il libro scritto assieme a Maria Rosaria Lazzati. «Siamo umani in quanto cuciniamo».

di Rivista Orizzonti

«Ho scritto un libro, con Rosaria Lazzati, che si chiama “La cucina del buon gusto”. Prima voglio dirvi, però, come è nato, perché come lettore io mi chiedo spesso da dove nascono le idee e mi interessa la genesi dei libri, e questo ha una storia interessante…
“La cucina del buon gusto” è nato da un capolavoro: “Fisiologia del gusto o meditazioni di gastronomia trascendent”e di Jean-Anthelme Brillat-Savarin, che non sapevo chi fosse. L’ho trovato nel mio circolo (lo sapete, sono inglese, e il mio circolo è quello del “Giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne, è un circolo colto), un giorno che aspettavo un signore che era in ritardo e ho cominciato a leggerlo. Mi ha affascinato talmente che non riuscivo a metterlo giù. È un libro che ha cambiato la mia vita, e parlo sul serio: questo libro scritto nel 1825 ha cambiato davvero la mia vita.
Perché? E chi era Savarin? Savarin era un giurista della Corte costituzionale francese, un patriota, un uomo che visse da rifugiato in America per quattro anni, che adorava la cucina, mangiare, e che scriveva di tante altre cose (era affascinato anche da tutti i marchingegni presenti nelle gente lo avrebbe preso in giro. Lui parlava dei cinque gusti e anche di un sesto, “sens génésique”, che per Brillat-Savarin era il desiderio di riprocreare, che avveniva quando tutti gli altri cinque sensi erano contenti, e soprattutto quando la gente non aveva mangiato troppo.
Savarin era un grande conoscitore e amatore della vita, conosceva come far funzionare un matrimonio, sebbene già nel primo capitolo chiarisce che non ha moglie e che “appartiene a un’altra parrocchia”. Quando parla di matrimoni, argomento che lui non conosce direttamente ma su cui ascolta ciò che gli altri gli dicono, afferma che un matrimonio può funzionare bene, anche se marito e moglie non dormono nella stessa camera, se mangiano insieme e discutono di quello che hanno mangiato. Quant’è vero!!!
Brillat Savarin, parlando delle norme da tenere a tavola, elencava cosa evitare (e mi vergogno, perché io facevo quegli errori!): ad esempio, affermava che colui che fa aspettare i commensali per l’ospite ritardatario non merita di avere ospiti. Da quando ho letto questa affermazione, io che sono la pasta si scuoce, ho cambiato abitudini: a casa si mangia quando lo dico io, e chi arriva tardi si arrangia. Sono piccole e grandi cose del gusto e del rapporto tra esseri umani.
Brillat Savarin racconta, ancora, di aver portato una volta del vino e un’altra un brodino a delle vecchie zie moribonde, e spiegava che il gusto è l’ultimo dei sensi a lasciarci e dunque è bene che la persona che sta morendo mangi ciò che gli piace. Io non lo sapevo… Quante volte a me è successo (ora lo ricordo) che persone anziane ammalate, a cui volevo bene, mi dicessero: dammi un poco di yogurt, vorrei un poco di cioccolato… Sono queste piccole grandi cose della vita e del gusto che lui ci insegna. E poi continua ad analizzare il cibo da altri punti di vista. Quando parla della padrona di casa mi sembra di vedere mia madre: dice che il buon/la buona padrone/a di casa deve occuparsi della felicità dei suoi ospiti dal momento che entrano in casa fino a quello in cui vanno via. E soltanto ora capisco quando mia madre mi mandava a comprare pacchetti di sigarette divarie marche, se avevamo invitati a
cena: lei guardava che sigarette fumavano e comprava pacchetti di sigarette che teneva nella sua stanza, accanto ai profumi, e che tirava fuori al momento giusto. Questo è il grande padrone di casa. Lo diceva Brillat Savarin: «Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della felicità di questa persona durante le ore che egli passa sotto il vostro tetto».
Brillat Savaren parla inoltre, attraverso il cibo, dei rapporti con gli stranieri. Noi, in Italia, abbiamo un’esperienza recente di coabitazione con gli immigrati e non ci facciamo tanto onore. Io vivo all’estero, a Londra, dove c’è gente di ogni tipo e ogni razza. A Londra si vive bene, c’è rispetto, c’è una legislazione rigorosa che tiene a bada il razzismo degli inglesi (che c’era e ci sarà sempre). In Italia, per esempio, le persone di servizio vengono chiamate con la loro nazionalità: “il rumeno”, “il filippino”; e questo è brutto. Brillat Savarin quando visse in America per quattro anni, durante il periodo dei giacobini, scrisse le parole più belle della coesistenza dell’emigrante; parlava nella loro lingua, si vestiva come loro, mangiava come loro (e questa era una sofferenza), rideva delle stesse cose di cui loro ridevano, ma spiega: “non vorrei che il lettore pensi che io parli con loro in modo accondiscendente, è per ringraziarli di avermi ospitato”. E questa per me è la più bella definizione di coesistenza.
Nel libro che ho scritto con Maria Rosaria Lazzati, lo dico che ho sbagliato e non ho avuto il buon gusto di Brillat-Savarin: quando mi sposai, rifiutai di fare il tè all’inglese (il latte nel tè a me non piace), isandwich olio e fettine di
cocomero… Rifiutai di fare tante cose della cucina inglese che ora, invece, faccio, grazie a Brillat-Savarin.
Lui racconta che ha avuto i pasti migliori con degli zingari, in una piccola bettola, perché la buona cucina non è quella
“cara” o quella raffinata, è quella ben fatta, qualunque cosa sia. Noi lo stiamo perdendo. In Italia, dove abbiamo sempre avuto una gran bella cucina, ora andiamo in alcuni ristoranti in cui ci danno dei pasti, come mi è successo di recente, in cui non vedi quello che mangi: una cosa rotonda al centro che non sappiamo cosa sia, con sopra magari una decorazione che non si può mangiare o degli oggetti (la conchiglia, per esempio) e paghiamo tanto per questo, e poi con gli altri ci diamo delle arie. Da qui nasce il rapporto malsano col cibo, che porta poi all’anoressia. Io sono un avvocato dei minori, ho avuto tanti casi di bambini anoressici, maschi e femmine, alcuni sono morti, ed è terribile che al mondo di oggi ci siano delle malattie e si muoia per problemi di cibo, quando c’è tanta gente che muore di fame. Credo che stiamo perdendo il buon senso… Ad esempio, vedo tante donne magrissime, ossa coperte da pelle, a cui tutti diciamo: che belle! Credo che stiamo perdendo il senso di godere la vita e goderla tramite il cibo, che è la cosa più importante della vita perché se non mangiamo
moriamo, perché il cibo è una delle cose più belle che ci siano.
Io ho sempre cucinato; a casa mia il cibo precotto o cotto da altri non è mai entrato (e io ricevo molto). Quando vedo, nella mia Palermo, mia cugina che mi dice che la besciamella non sa farla perché quella nella scatoletta è ottima, mi chiedo: ma come ragioniamo? Comprare cibo già fatto ed esserne fieri, quando in Inghilterra ci sono, tra i miei clienti, genitori che non
hanno mai cucinato per i figli perché sono poverissimi (perché il cibo cotto e surgelato costa meno di quello fresco da cucinare). Sono stata in vacanza con mio figlio, sua moglie, due bambini e un’altra famiglia: tutti inglesi, io ero l’unica italiana.
Famiglie deliziose, abbiamo cucinato a turno, ma i bambini mai che qualche volta facessero qualcosa in cucina! E hanno dai
nove agli undici anni! I bambini non cucinano, non lavorano in casa, stanno lì a giocare con macchinette, sono tutti muti però giocano insieme, e non sanno cucinare, lavare un piatto, pulire, non sanno fare niente perché devono essere bambini, e queste sono buone famiglie, sono genitori che cercano di fare del loro meglio.
Credo che dobbiamo ripensare a come viviamo, che dobbiamo rivedere il nostro modo di avere rapporti tra di noi, e secondo me la cucina, come dice Brillat-Savarin, ci spinge a capire la nostra umanità, perché noi siamo umani in quanto cuciniamo. La differenza tra l’uomo e gli animali è che noi ci nutriamo facendo uso del cibo trasformato. È tutta lì la differenza: nella trasformazione di ciò che mangiamo, che per me è la cosa più bella del mondo. Se perdiamo questa caratteristica, perdiamo di umanità. In un mondo sotto attacco, in una società in decadenza (e noi europei siamo tutti uguali, stiamo andando ingiù) che si perda la cucina è veramente un danno: e in Italia non è accettabile, perché la nostra cucina è la migliore del mondo e la pizza e la pasta hanno conquistato tutto il globo.
Abbiamo in mano qualcosa che può portarci tanta ricchezza».

(Testimonianza raccolta da Teresa Filomeno, durante la presentazione al Festival di Mantova)


Articolo pubblicato su Orizzonti n.42. La rivista la trovate qui:
http://www.rivistaorizzonti.net/puntivendita.htm

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