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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Omaggio a PIERRE DRIEU LA ROCHELLE, lo scrittore che denunciò la decadenza della società moderna

di Rivista Orizzonti

Ci sono scrittori che con la propria vita e con le proprie opere rappresentano un’intera epoca. Pierre Drieu La Rochelle (1893-1945) è certamente uno di questi, se è vero che “è fra gli scrittori francesi che hanno avvertito più tragicamente e intensamente la crisi dell’uomo occidentale”, come affermato da Alfredo Cattabiani in Drieu la Rochelle, poeta della decadenza.
Il tema della decadenza, del declino dell’uomo e della civiltà è da lui profondamente sentito e vissuto, diviene il filo conduttore della sua narrativa e della sua saggistica. Se nei romanzi e nei racconti “personaggi e romanziere si sono identificati agli occhi dei lettori sino a perdere ogni distinzione”, tanto da poter considerare tutta la sua narrativa come “un lungo monologo autobiografico in cui fantasia e confessione si intrecciano inestricabilmente” (sempre Alfredo Cattabiani), nei suoi saggi, parimenti, le idee, i fatti, le considerazioni storico-politiche si amalgamano sovente ai dati personali ed esistenziali. “Ci tempriamo nella confessione come il metallo nell’acqua”, scrisse Drieu. E in Socialismo fascista, uno dei più bei saggi politici del Novecento, scritto nel 1934, c’è un intero capitolo intitolato «Itinerario» in cui lo scrittore ripercorre le ragioni esistenziali e psicologiche della sua adesione al Fascismo. Drieu ama giocare a carte scoperte. Come molti intellettuali del Novecento si impegna politicamente, scende in campo, imbraccia il fucile. Non ha paura di stupire o di attirarsi rancori ed odi. “Volevo essere un uomo completo, non solo un topo di biblioteca, ma anche un uomo di spada, che assume le sue responsabilità, che riceve e colpi e ne restituisce.”
La decadenza, magistralmente descritta in romanzi quali Drôle de voyage, Fuoco fatuo, Gilles, e in racconti quali La voce, Vietato uscire, Diario di un uomo tradito è, però, solo un aspetto della sua personalità. Nella decadenza Drieu non si crogiolava come tanti. Ne avvertiva tutto il peso, drammaticamente: “è orribile camminare per le strade ed incontrare tanto decadimento, tanta laidezza, tanta imperfezione”. Di fronte alla decadenza Drieu provava istintivamente un bisogno di rivolta. “La consapevolezza della decadenza non era per lui un alibi, una giustificazione per accomodarsi nella poltrona di un nichilismo senza speranza - scrive Cattabiani -. In lui era viva l’esigenza di una rivolta per modificare una situazione personale e sociale che giudicava negativa.” Lo scrittore francese teneva ben presente l’ammonizione di Nietzsche “Il deserto cresce. Guai a chi cela deserti dentro di sé”.
Da questa volontà di rivolta, di non arrendersi ad un destino che appariva ormai segnato, nasce la sua meditata adesione al fascismo, che però non significa mai in lui acquiescenza o mancanza di spirito critico: “Io, l’intellettuale, ho forse rinunciato alla mia libertà? Il fascismo come tendenza è una cosa; le forme particolari e inevitabilmente volgari che il fascismo assume nei diversi paesi sono un’altra cosa. Io lavoro forse alla costituzione di un regime fascista in Francia, ma resterò sempre libero e indipendente nei suoi confronti” scriverà in Socialismo fascista.
Ma, potremmo chiederci, dove coglieva Drieu questa decadenza? Certamente, nella bruttezza della nostra civiltà con le sue case, le sue fabbriche, il suo grigiore, la sua disumanità, la sua entropia. Di contro, “dinanzi alle architetture e alle pitture medioevali Drieu percepiva il senso di una vita umana, sentiva l’equilibrio fra corpo ed anima, vedeva nella forza severa delle chiese gotiche, nello splendore delle sculture, nei colori degli affreschi l’espressione di un mondo in comunione con la natura e con l’universo.” Si trova, per inciso, in questo raffronto tra due civiltà, la radice dell’ecologismo di Drieu, che ce lo rende così vivo e familiare. Già nel suo primo saggio politico del 1922, Misura della Francia, con amarezza e lucidità, Drieu aveva fatto una diagnosi e una profezia della condizione dell’uomo d’oggi, che può considerarsi esemplare: “Oggi ci sono i moderni, cioè gente che vive o di profitti o di salari, che pensa solo a ciò e che discute solo di questo argomento… Tutti passeggiano soddisfatti nell’incredibile inferno, nell’enorme illusione, nell’universo di spazzatura che è il mondo moderno e in cui molto presto non penetrerà nemmeno più un raggio di luce spirituale”. Ecologista ante litteram, riassume così la sua visione: “Oggi l’uomo ha bisogno di ben altro che di inventare macchine. Ha bisogno di danzare, di meditare, di una discesa nel profondo, di una grande danza meditata.”
Diviso fra una vita disordinata e la ricerca di un ordine personale e sociale, “perennemente in bilico tra il sogno e l’azione” (Moreno Marchi in Drieu La Rochelle, una bibliovita), tra letteratura ed impegno, tra la meditazione religiosa e la politica, lo sentiamo come un compagno di viaggio, come un nostro fratello maggiore, che ci ha preceduto sui sentieri impervi e difficili del nichilismo montante alla ricerca d’una via d’uscita. Si è osservato che non aveva torto Drieu La Rochelle a scrivere, prima di morire, che le generazioni future si sarebbero chinate incuriosite sui suoi libri per cogliere un suono diverso da quello solito: “nessuno dei problemi posti da Drieu è stato risolto… l’Europa non esiste ancora… il meccanismo della produzione non è stato né limitato né regolato, anzi ha moltiplicato i suoi ingranaggi senza ordine, senza alcuna cura per la persona umana. Molti intellettuali stanno scoprendo oggi questa alienazione spirituale della civiltà moderna, di cui aveva parlato lo scrittore francese; i giovani più avvertiti vivono in uno stato di insoddisfazione spesso inconsapevole, rifiutano l’inserimento, oppure si perdono in ribellioni velleitarie incapaci di liberarli. Drieu parla a tutti costoro; la sua interrogazione appassionata, colma di dolore e di speranza, di generosità e di virilità, risuona estremamente attuale. È un grido simile a quelli di Bernanos, di Saint-Exupéry, di Céline, uomini provenienti da schieramenti politici diversi, ma accomunati da una sola e fondamentale preoccupazione: rendere all’uomo una dimensione umana.” (Alfredo Cattabiani)
Va poi sottolineato, per comprendere pienamente la sua personalità, che negli ultimi anni lo scrittore francese si stava allontanando sempre di più dalla politica, dagli aspetti più contingenti della storia, verso una prospettiva metafisica, che si nutriva della lettura dei Vangeli e dei testi sacri orientali. Solo di recente, dopo un lungo periodo di ostracismo, è stata finalmente resa giustizia a Drieu, che è entrato a pieno titolo nella letteratura del Novecento con l’inserimento nella Pléiade, la più prestigiosa collana editoriale francese. Ad un insieme di brevi testi, scritti dopo i due tentativi di suicidio dell’agosto del 1944 e pubblicati sotto il titolo di «Racconto segreto», Drieu aveva affidato il suo testamento politico-esistenziale, riassumendo con tratti di efficace lirismo la sua arte, il suo pensiero, la sua sensibilità: “La funzione degli intellettuali, o almeno di un certo tipo di intellettuali, è di andare al di là dell’avvenimento, di tentare cammini rischiosi, di percorrere tutte le strade possibili della storia. Niente di grave se sbagliano. Hanno compiuto una missione necessaria… Una nazione non è una voce unica, è un concerto. È necessario che vi sia una minoranza; noi siamo stati appunto quella: abbiamo perduto, siamo stati dichiarati traditori: è più che giusto. Se voi foste stati sconfitti, sareste diventati automaticamente i traditori… Sono fiero di essere stato un intellettuale della minoranza… Non ho voluto essere un intellettuale che misura prudentemente le sue parole. Avrei potuto scrivere nella clandestinità, in zona libera, all’estero. No, bisogna assumere le proprie responsabilità, entrare in gruppi impuri, ubbidire alle leggi della politica che consiste nell’accettare alleati spregevoli o odiosi. Non mi sono sporcato le mani, solo i piedi… Siate fedeli all’orgoglio della Resistenza, come io sono fedele a quello della Collaborazione… Ma abbiamo giocato e io ho perduto. Esigo la morte.”
E la morte ha ottenuto, togliendosi la vita il 15 marzo 1945.

(Articolo di Sandro Marano, pubblicato su Orizzonti 43)

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