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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista a Giacinto Zappacosta, che presenta ai lettori il libro “Conchiglie sparse” ( Aletti Editore )

di Rassegna Stampa

Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Conchiglie sparse”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?

Giacinto Zappacosta - L’opera è resa mediante la struttura del prosimetro, alternanza di prosa e versi a dare un’impronta lirica e particolare. In tal senso, gli esempi sono autorevoli: giganteggia Dante con "Vita Nova", modello insuperato di prosimetro elegante ed austero, molto lontano, purtroppo, dalla nostra sensibilità e dalla nostra capacità di apprezzare contenuti elevati. Non posso non citare il "Satyricon" di Petronio, chiamato, come noto, e a ragione, Arbiter elegantiarum. Mi sono mosso, quindi, nel solco di una tradizione nobile e consolidata, sperando di essermi avvicinato, sia pure impercettibilmente, a dei maestri di prim’ordine.
"Conchiglie sparse" è l’incipit di una poesia contenuta nel mio romanzo, poesia, questa, nella quale convergono indubbiamente ricordi, d’infanzia soprattutto, rappresentati in una forma diretta, immediata, al contrario di altre, pure contenute nel libro, bisognose, per i loro rimandi, di una interiorizzazione più impegnativa.
Quanto ai contenuti, all’interno di episodi vissuti dal protagonista, emerge, in rapidi e significativi scambi di battute in dialetto, il dramma dell’emigrazione, all’epoca, verso le lontane Americhe, ma anche il piacere di una vita più semplice e spensierata, a diretto contatto con il susseguirsi delle stagioni e la natura. Il richiamo alle lucciole, che è pasoliniano, decimate o del tutto distrutte dalla brutalità umana, riecheggia nella mia opera, come pure la contrarietà ad ogni forma di aborto. Sul punto specifico, la posizione di Pasolini, autore dal quale mi dividono molte cose, è dettata dalla constatazione della irrefrenabile voglia di vivere del feto, per me si tratta principalmente di ribadire i principi cristiani.

Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?

Giacinto Zappacosta - Ogni libro, inevitabilmente, fa riferimento al vissuto. Gli stimoli e le immagini mi sono giunti dalla vita reale. In ogni caso, preferirei non entrare nel merito se il romanzo e le poesie siano autobiografici: gradirei che la mia opera sia valutata per quello che è, per la forma e la sostanza, le due componenti, secondo l’insegnamento di Croce, che concorrono a definire l’arte. Comunque sia, i fatti di cronaca, che ormai assurgono a fatti storici, evidenziati nel dipanarsi delle scene, sono la cornice entro la quale si sviluppano e si consolidano sentimenti, rapporti amorosi, vincoli familiari e amicali. Per essere più chiari, la realtà storica, che qui e là, sempre con discrezione, si affaccia tra le pagine del libro, è il pretesto, il presupposto per ampliare il discorso fino ad affrontare temi etici, problematiche morali sempre presenti all’animo umano, in ogni contesto e in ogni epoca. In questo senso, il racconto prescinde dalle situazioni specifiche di un determinato periodo. Qui vale quello che diceva Pirandello a proposito della servetta che gli prendeva la mano nello scrivere e lo menava dove prima non avrebbe mai pensato. Così capita a me: pur partendo dalla realtà che ci circonda, la servetta mi accompagna ambo le mani poggiate sulla tastiera del computer. Ecco: la fine della pagina o del paragrafo mi è ignota quando inizio a battere le prime parole. L’arte come scoperta continua, insomma, che stupisce anche l’autore.

Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?

Giacinto Zappacosta - La ringrazio per questa domanda che mi dà la possibilità di accennare ad una questione per me fondamentale. Ho inteso salvare e custodire la scrittura in quanto tale, e in generale la nostra stupenda lingua italiana, così nobile, dagli attacchi quotidiani che derivano da una grassa ed arrogante ignoranza. Quando sento e leggo frasi che costituiscono uno stupro costante, una demolizione ai danni della nostra parlata, non posso fare a meno di constatare come il fatto, già di per sé grave, sia l’epifenomeno di una portata più ampia, vale a dire il disfacimento di un tessuto sociale, il disgregarsi, anche sotto un profilo antropologico, di una comunità nazionale. Soprattutto considerando che l’Italia, come Nazione, nasce con una forte impronta culturale (penso a Dante), venendo meno la quale, evidentemente, crolla tutto il resto. Gli orrori, tanto per fare qualche esempio, vanno da “persona abusata”, che linguisticamente è un’indecenza, agli accenti vergati contro ogni regola, oppure omessi quando obbligatorio. Ma l’elenco dei florilegi sarebbe molto lungo.

Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Conchiglie sparse”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?

Giacinto Zappacosta - Ho fatto ricorso alla poesia, in una esposizione prevalentemente in prosa, per concedermi la libertà di un discorrere libero, capace di afferrare intuizioni e fantasmi. Per esempio, in un verso dico “Verdi prati affastellano il ricordo”. Ora, affastellare significa riunire in fastelli, e per estensione, in senso figurato, indica l’atto di mettere insieme confusamente. È chiaro che, a stretto rigore, la mia frase sarebbe sbagliata da un punto di vista linguistico ed anche logico, in quanto, tutt’al più, è il ricordo, come capacità intellettiva, ad affastellare le percezioni del mondo esterno. La poesia prescinde da tutto questo, dandoti la possibilità di creare immagini, di modellare il linguaggio in una infinità di sfumature. In quel momento, avevo bisogno di partecipare al lettore quella determinata sembianza che solo la poesia poteva sostenere. Nell’ambito della mia opera, posso quindi dire così, le poesie, se proprio devo scegliere, sono la parte nella quale mi riconosco appieno, o che comunque ha reso con colori appropriati il mio sentire.

Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?

Giacinto Zappacosta - Ogni tanto, sento la necessità di rileggere "I Promessi Sposi", un’opera di una capacità descrittiva insuperabile. Penso alla narrazione di quell’orto quando Renzo torna al paesello: Manzoni sembra quasi far parlare le piante rampicanti, i frutti, gli steli d’erba. Ed indica quale vincitore assoluto, in questo ha ragione Sciascia, don Abbondio. Un’altra mia passione è la politica, quella seria. Da ragazzo, ho scoperto il grande Niccolò Machiavelli, il tanto vituperato fiorentino, disprezzato da chi non lo ha mai letto. È il fondatore della politica come scienza e creatore, come evidenziato dal De Sanctis, della prosa italiana. Quanto a “Conchiglie sparse”, è evidente il riferimento, per esempio, alla problematica siloniana che pone una dicotomia insanabile tra la Chiesa come istituzione e la Chiesa come popolo di Dio. Nel libro pongo il problema, ma, a differenza del mio conterraneo, lo risolvo nell’ambito dell’ortodossia, vale a dire la fedeltà da parte della gerarchia, pur negli errori, sempre presenti in ogni esperienza umana, al messaggio evangelico. Di Dante ho già parlato. Nella mia formazione, aggiungo, hanno un peso notevole le letture di Edgar Allan Poe e di Thomas Hardy. Mi fermo qui. In filosofia prediligo Platone, Aristotele ed Hegel. Solo un accenno al teatro, quello classico, greco e latino, e per quanto attiene i moderni mi piace Samuel Beckett.

Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?

Giacinto Zappacosta - Si tratta di una mia scoperta recente. Parlo di una passione per il cinema, secondo me una forma d’arte dalle straordinarie potenzialità. È scattata la scintilla: come sa, ho concepito “Conchiglie sparse” nella forma di una sceneggiatura di un film, anche se l’opera è godibile pure da un punto di vista letterario. Prendiamo l’ultima scena: indico la sigla di ciò che immagino possa essere la pellicola nello stupendo madrigale di Claudio Monteverdi, “Zefiro torna”. Ecco perché spero che un regista o un produttore possa interessarsi alla mia fatica: la mia sceneggiatura c’è già, e mi pare interessante. Chi vuole può farsi avanti. Io sono qua. Tra l’altro, una realizzazione cinematografica darebbe risalto alle scene, alle immagini, alle poesie che ho immaginato come lette da una voce fuori campo. Insomma, c’è già tutto.

Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?

Giacinto Zappacosta - La mia laurea in Giurisprudenza, che ha fatto seguito alla maturità classica, dice dei miei interessi culturali. Cito un solo autore, Gaio, che con le sue “Institutiones” ci ha lasciato, in un latino delizioso, un monumento giuridico di incomparabile valore. E si tratta di un’opera, quindi, che ha una sua valenza letteraria oltre che scientifica. Ho già parlato di alcuni autori, anche stranieri. A proposito di Allan Poe, vorrei ricordare la sua attività di critico letterario, la sua capacità, se posso esprimermi così, di smontare l’opera d’arte nelle sue parti costituenti. Accanto a tutto questo, sto scoprendo pian piano la vasta schiera dei librettisti italiani: si tratta di veri e propri poeti, dimenticati, però. Cito solo Ottavio Rinuccini, fiorentino, autore del già citato madrigale.

Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?

Giacinto Zappacosta - Alla soglia dei sessant’anni, mi verrebbe da rispondere nel senso dettato dall’età. Eppure, vedo nel multiforme mondo delle moderne tecnologie un’enorme potenzialità per la diffusione della cultura e delle idee. Quello che si riesce a fare oggi con un semplice telefonino era inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Io faccio parte della generazione che vive con un piede nel passato, dominato dal telefono fisso, magari allocato in bella evidenza, come un trofeo, nel salotto buono di casa, e con l’altro nell’era dell’informatica. Per quello che mi riguarda, mi destreggio abbastanza bene col computer, non fosse altro che per aggiornare quotidianamente il mio blog canaculex.wordpress.com.

Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.

Giacinto Zappacosta - Il linguaggio, sia parlato che scritto, è la forma più alta di arte. La nostra lingua, e torno sull’argomento a me caro, presenta, attraverso le figure retoriche, una capacità di espressione che non ha nessun altro idioma attualmente diffuso sulla faccia della Terra. Mi chiedo quanti di noi siano a conoscenza dello zeugma, o dell’enallage e dell’ipallage. Scrivere per me è bello, è esaltante. Ma è stata una conquista che mi è costata fatica. Non credo ai discorsi sul dono di natura, in nessun campo, per cui uno è bravo perché dotato geneticamente. Tutte balle, in quanto i talenti, quando pure ci sono, vanno fatti fruttare. L’espressione “le sudate carte” sta ad indicare proprio questo.

Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Conchiglie sparse” se non lo avesse scritto.

Giacinto Zappacosta - Per i suoi contenuti e i suoi rimandi etici. Per quanto attiene la struttura, credo traspaia lo sforzo di giungere ad una sintesi tra prosa e poesia, attingendo ora all’una ora all’altra. Per questo, insisto, una rappresentazione cinematografica, potendo far leva su immagini e sottofondi musicali, esalterebbe la mia opera.

Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?

Giacinto Zappacosta - Intanto, mi permetta di ringraziare chi ha pubblicato il mio libro, Aletti Editore. Sì, ho notizie da dare riguardo al prossimo futuro. Sono già a buon punto nella stesura di un altro racconto, o romanzo che dir si voglia. Anche in questo caso sono inserite delle poesie che sto componendo man mano. Si tratta di un’opera nella quale l’amore, inteso proprio come rapporto carnale, è non solo lo scenario, ma la prospettiva principale, esposta in tutta evidenza nel proscenio. Le anticipo una parte del sottotitolo: “Storie di sesso”. Ovviamente, la volgarità mi è estranea. Prometto che quando questa mia ulteriore fatica arriverà al termine, la Aletti sarà la prima casa editrice ad esserne informata.

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