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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
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Riflessioni critiche sul libro "GEOMETRIA DELLA ROSA" di Giuseppina Rando a cura di Mariella Sclafani

di Rassegna Stampa

Geometria della rosa di Pina Rando è una ricca e raffinata raccolta di liriche, contrassegnate da un linguaggio allusivo e a volte misterioso, che si articola in quattro parti. La prima, la più corposa, è a sua volta suddivisa in tre sezioni: Geometria della rosa, I corpi dell’ombra, Dalla caverna. Le poesie hanno un titolo solo nell’ultima parte, mentre nelle altre sono indicate con il verso iniziale; nella seconda e nella terza sono numerate rispettivamente con i numeri romani e con i numeri arabi. Queste differenze fanno supporre che i componimenti siano stati scritti in tempi diversi e successivamente riuniti e organizzati in un unico corpus.
La poesia è presentata come strumento per indagare il mistero che circonda l’uomo, riportando alla luce frammenti di verità. Proprio perché crede nella polisemia della parola poetica e nella sua capacità di andare oltre le apparenze, l’io lirico è consapevole che non morirà del tutto (ed io non morirò tutta afferma, richiamando l’oraziano non omnis moriar) perché non ha lasciato dietro di sé vento di parole vane / né fantasmi o conchiglie spezzate / senza l’eco del mare. Se da un lato però si coglie la fiducia nella parola poetica, nella sua capacità di dar vita alle cose, (si fa grazia la pietra / si tramuta in vita), dall’altro emerge sempre la coscienza della sua inadeguatezza a chiarire il mistero e affiora l’incolmabile distanza fra sogno e realtà. Ѐ questo uno dei temi più densi della silloge che viene espresso attraverso un susseguirsi di metafore culminanti nell’immagine che dà il titolo alla raccolta: Geometria della rosa. A un primo impatto, l’espressione può apparire ossimorica, dal momento che le forme morbide e sinuose della rosa sembrano lontanissime dall’idea della geometria, solitamente identificata con rette, angoli, spigoli. Ma la rosa va vista in questo contesto come immagine della poesia, dapprima chiusa in un bocciolo che via via si apre alla comprensione e si offre in tutta la delicatezza, la dolcezza, la bellezza dei suoi petali. Una poesia capace di tradurre il caos della realtà in un ordine armonioso e complesso. Non è facile addentrarsi nel labirinto del mondo, ma l’autrice si affida a un filo sottile che dipana basso, basso, tenendone stretto in mano il bandolo e da esso si lascia guidare verso il sogno, verso la promessa, verso il candore, della chioma del pioppo, del raggio di luna che riluce sul taglio del ramo ancora verde mentre il crepitare della fiamma favorisce il lento slacciarsi dell’anima. La bella immagine, di ascendenza dantesca (Come d’un tizzo verde ch’arso sia / dal’un de’ lati che da l’altro geme / e cigola per vento che va via) è una di quelle callidae iuncturae attraverso le quali l’autrice riesce a rendere la tensione dell’anima verso l’alto, il suo lento e graduale liberarsi dalle scorie terrene per attingere l’infinito. Una tensione che si coglie anche nei versi che chiudono la lirica di apertura del libro: …tarda è l’ora / e senza approdi il mare /…non s’arresta la barca / dal vento spinta / s’inciela. Il termine raro, anche in questo caso ripreso da Dante, ci offre l’occasione per soffermarci sulla peculiarità della lingua poetica che, se per un verso si affida al linguaggio della comunicazione quotidiana, per l’altro ha bisogno di parole desuete, ricche di echi letterari che permettono di osservare aspetti inediti del mondo e dell’anima. Sono i millenari alfabeti di cui si nutre la parola poetica, che non sempre riesce a sciogliere i nodi. E allora il dubbio ostinato persiste, il nodo resta non sciolto, si sperde il messaggio non colto. Lungi da queste pagine la retorica di una poesia che pretende di saper tradurre il buio in luce, il mistero in chiarezza; al contrario, il tono ora volutamente sommesso, ora dolente esprime piuttosto la fatica di chi, consapevole del tarlo che rode ogni cosa, si sforza di dar voce alla forma corrotta che anela alla luce. Ma le parole, come stanchi giocolieri… invano cercano / mappe in cielo. Il contrasto luce-buio, morte-vita, alto-basso, alba-sera vira in alcune delle liriche più intense verso una dimensione religiosa oppure si incardina nella più bruciante attualità. La croce puntata al cielo, asse su cui il Corpo arcano è intelaiato su maglie di sangue, è il luogo in cui si consuma la morte di Cristo, ma anche lo spazio della pietà: il pettirosso stacca una spina dal capo del crocefisso e dalla goccia di sangue sboccia una rosa. Ha la forza di un tuono invece il silenzio che esplode dal grembo verginale della pietra allorché Cristo si leva dal sepolcro dove si è consumato il duello tra la vita e la morte. La bianca veste del risorto si contrappone alla terra oscura sulla quale giace inerte e inutile il sudario. Di intenso impatto drammatico la poesia che si apre con il verso ancora sangue d’innocenti. La data collocata alla fine del componimento, 20 settembre 2014, fa riferimento ai martiri cristiani coreani che vengono ricordati il 20 settembre, ma la trama del testo si apre a una dimensione più vasta e purtroppo attuale, quella del terrorismo a cui sembra alludere il verso teste recise a doppia lama. Di fronte a un panorama di morte e di tristezza nel quale l’incessante sete di vendetta si nutre del sangue degli innocenti, sorge spontanea una domanda: Risalirà mai l’umanità / dall’abisso nero delle croci? Ma la domanda rimane senza risposta e all’autrice non rimane che constatare la costante ingiustizia dei giusti (in corsivo nel testo), concetto illustrato in una riflessione chiarificatrice a margine della lirica n. 15 della terza parte, questi giorni disumani, che vale la pena di riportare per intero per la profondità del messaggio civile e morale che racchiude: «Quando, chiusi nel nostro egoismo o distratti dai rumori o abbagliati dal luccichio di certe cose, dimentichiamo le sofferenze dei poveri, dei “senza voce”, dei rifugiati, di chi fugge dalla guerra e dalla fame, o restiamo indifferenti, estranei all’ingiustizia dilagante… oppure liquidiamo tutto come fenomeno negativo e continuiamo a magnificare con parole e scritti la Giustizia, realizziamo… l’ingiustizia dei giusti». Una considerazione che ci fa comprendere come la poesia, pur nel suo tendere verso l’assoluto, non possa rimanere estranea al dolore del mondo.

Mariella Sclafani

Collana Gli Emersi - Poesia
pp.100 €12.00
ISBN 978-88-591-3900-3
Il libro è disponibile anche in versione e-book

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